7 OTTOBRE – Angelica Calo Livnè e la strategia delle emozioni contro la propaganda

Alla conferenza promossa dal Movimento ‘Cinque Stelle’ a Genova su “Spade di Ferro”, la guerra d’Israele contro Hamas, erano stati invitati un giovane medico di Gaza che ha studiato in Italia e un altro medico palestinese che vive in Italia dal 1969, ma che ha lasciato il cuore a Gerusalemme, sua città natale. Poi c’era una leader dell’associazione Assopace che organizza manifestazioni per la Palestina libera “From the river to the sea”, il grido di battaglia urlato a gran voce per le strade d’Europa. Interlocutori molto impegnativi. L’idea di invitare me e Yehuda, mio compagno di vita e di viaggio, è stata di Ariel Dello Strologo, amico di vecchia data con il quale abbiamo presentato importanti progetti in passato, che ha suggerito di far sentire al convegno la voce dell'”altra parte”, la voce di Israele. Così ci ha chiamati e ci ha chiesto di venire: “È un incontro per gli studenti dei licei e voi che siete impegnati da molti anni nell’educazione al dialogo, potete portare un vero messaggio di pace!”.

Chi immaginava di lasciare Israele di questi tempi anche se solo per pochi giorni! Qui sembra tutto paralizzato ma la vita continua e bisogna stare all’erta per aiutare, rivedere progetti che la guerra, che sembra ora interminabile, ha stravolto e rimesso in discussione. Prima di partire per Genova ci siamo fermati a Roma per abbracciare la famiglia e gli amici. Siamo stati inondati più di sempre di affetto, abbiamo percepito sulla pelle il dilagare e la minaccia inarrestabile dell’antisemitismo in Italia e in tutta l’Europa e la grande solitudine, una sorta di tradimento di quegli amici d’infanzia che non ti riconoscono più e ti cancellano dalle liste di conoscenti… Il 7 ottobre è stato dimenticato. Il dolore, la violenza, lo stupro e l’elenco dei rapiti israeliani, sono scomparsi dalla coscienza e nelle menti e nei cuori c’è posto solo per Gaza: per le immagini delle case bombardate, dei bambini che piangono nelle strade nelle braccia di madri affamate. I numeri delle vittime di Tsahal sono citati ovunque: decine di migliaia. Israele è identificata con Benjamin Netanyahu e sembra essere un mostro potente, assetato di vendetta, che non si ferma di fronte alla tragedia e provoca genocidi, massacri apartheid e pulizia etnica – le quattro parole magiche che fanno presa sulle masse, anche su chi aveva un barlume di simpatia nei nostri confronti!
Stava per nascere la nostra nuova nipotina, tre dei nostri figli erano appena usciti da Gaza dopo quasi due mesi di miluim e l’animo era occupato da mille ansie ma, in questi giorni, chiunque abbia la possibilità di far sentire la voce di Israele deve farlo. Siamo partiti con il cuore pesante e il dolore per i rapiti, i caduti, le case, le famiglie distrutte nel sud, prigionieri di un trauma, feriti e senza pelle, con la sensazione che ci attanaglia da anni nei convegni ai quali abbiamo partecipato con la sinistra estremista e i palestinesi più moderati che non riescono a capire il dolore di Israele, non riescono ad ascoltare e ad avere empatia anche per i nostri lutti e per le nostre tragedie. Dai pochi commenti degli amici che abbiamo incontrato abbiamo capito che, a Genova, ci stavamo infilando nella tana del lupo.

Il convegno è stato trasmesso in diretta in tutte le scuole superiori di Genova, e si aperto mentre un missile degli Hezbollah sfondava le mura dell’auditorium di Sasa che sorge proprio accanto al liceo e a pochi metri da casa nostra. La conferenza è stata aperta da tre relatori, che hanno in apparenza presentato la progressione storica del conflitto israelo-palestinese ma in realtà hanno travisato la realtà con affermazioni spudoratamente di parte come: “Il sionismo è colonialismo – nel 1948 loro (gli israeliani) si sono presi tutte le terre che avrebbero dovuto essere divise in due stati – nel 1967 si sono presi la Giudea e la Samaria e nel 1973 si sono presi il Golan e ora, a quanto pare, intendono prendere anche Gaza”. Questo “si sono presi” è stato ripetuto più volte, senza menzionare nessuna guerra, senza ricordare che siamo stati attaccati ogni volta e trascinati con la forza in conflitti imposti e che ogni soldato, ogni persona che cade in un attacco terroristico sono per noi una perdita e un dolore insopportabili. Il giovane medico di Gaza ha parlato di massacro da parte di Israele senza una sola parola di biasimo nei confronti di Hamas, senza un accenno di compassione per la sofferenza delle nostre donne, ragazze, bambini e anziani. Gli organizzatori, che avevamo incontrato via Zoom qualche giorno prima, hanno lasciato i nostri tre interventi per la fine del convegno, intuendo lo spirito con cui intendevamo partecipare: lo spirito di chi porta la vera pace, il senso e la volontà di avvicinare e proporre soluzioni. Hanno sentito che potevamo fare la differenza, dare un colore diverso all’incontro, diffondere un messaggio di speranza nonostante l’intolleranza dell’altra parte. Abbiamo raccolto tutte le nostre forze per trasformare il buio che si era creato nei nostri confronti e creare una luce completamente diversa sullo Stato di Israele, verso tutti coloro che per nove mesi, sono scesi nelle piazze per scongiurare il disastro e la mancanza di democrazia. Ariel ha parlato della narrativa palestinese, che utilizza parole come olocausto e genocidio, termini che risuonano ancora, da 80 anni, in ogni cuore ebraico nel mondo, che appartengono al nostro dolore collettivo, usate ora, dalla propaganda palestinese per screditare e demonizzare le nostre azioni di difesa causando ondate di antisemitismo nei nostri confronti. Poi è stata la volta di Yehuda, che, con la sua voce pacata, ha parlato degli sforzi immani e preziosi di Israele per continuare a educare al rispetto e alla solidarietà, alla positività, ma anche della fatica di andare avanti per ricostruire il futuro nonostante la rabbia, l’impotenza verso la violenza inenarrabile e incontenibile alla quale siamo stati sottoposti. Ha raccontato la nostra volontà di continuare a marciare a fianco e quegli arabi israeliani che hanno espresso la loro opposizione, il dolore e la vergogna per le atrocità di Hamas.

Poi è stato il mio turno. Mentre mi struggevo a contenere le bugie dei falsi storici e degli attivisti schierati che hanno preceduto Ariel e Yehuda ho pensato che abbiamo bisogno di strategie, e non solo militari. La dolcezza e la fermezza con cui loro due hanno esposto le nostre verità e i nostri sentimenti mi hanno fatto capire ancora di più che la nostra strategia era quella vincente. Il mondo islamico fondamentalista ha scelto di fomentare l’odio nei nostri confronti. Noi volevamo arrivare ai cuori, all’attenzione vera di quei ragazzi che si nutrono solo di Tik Tok, Instagram e di descrizioni orribili dello Stato di Israele. Non abbiamo risposto con livore alle accuse o alle menzogne di chi ha parlato prima di noi; abbiamo puntato direttamente all’umano che alberga nell’animo di ognuno. Quando è stato il mio turno ho invitato cinque giovani volontari e ho chiesto a uno di loro di creare una scultura immaginaria, un quadro vivo che raccontasse il dolore della guerra. Il pubblico assisteva in silenzio, incuriosito e incredulo.
Ho chiesto una musica di sottofondo e quando un ragazzo, un po’ impacciato ma molto emozionato, è entrato a far parte della piccola opera viva che aveva creato ho chiesto a un altro volontario, il sesto, di venire a trasformare quell’immagine, cambiando le posizioni dei compagni secondo ciò che sussurrava il suo cuore, ispirandosi ai sentimenti di speranza che avevamo trasmesso. Il pubblico sembrava ipnotizzato. La Sala del Munizionere del Palazzo Ducale di Genova è diventata per qualche minuto un arcobaleno dopo la più terribile tempesta. I giovani attori improvvisati e il pubblico hanno colto il significato profondo del loro ruolo di futuri cittadini, che capiscono cos’è il dolore, la paura, la tragedia di tutti. Senza pregiudizi. Tiziana Beghin, deputata Cinque Stelle al Parlamento Europeo che aveva promosso l’evento, ha concluso con grande emozione: “Voi ragazzi, con questa inaspettata rappresentazione che ha coinvolto tutti, avete dimostrato che, se si immagina qualcosa, lo si può realizzare.” Era il messaggio che noi avevamo donato al pubblico: come è descritto nella tradizione della Kabbala: Il pensiero crea la realtà. E di questo ci alimentiamo in Israele:

Trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro,
le loro lance in falci;
un popolo non alzerà più la spada
contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell’arte della guerra.
E noi ci crediamo! Prima o poi la visione del profeta Isaia si avvererà!

Appena atterrati a Tel Aviv ci ha accolto la sirena. Un brivido difficile da descrivere…e qualche minuto dopo nostro figlio Kfir ha telefonato per annunciare che la nuova nipotina era nata. Benvenuti in Israele!