RAZZISMO – Tel Aviv Institute: criticare Israele si può e si deve, negare la verità no

La pratica di adottare un doppio standard nei confronti di Israele è purtroppo frequente. Dal 7 ottobre in poi c’è stata un’autentica esplosione del fenomeno, online e offline. Il Tel Aviv Institute ha stilato al riguardo una breve guida “per criticare Israele senza essere antisemiti”. Il prontuario, diffuso negli scorsi giorni via Instagram, parte da una premessa: non vi è niente “di più sionista” della critica a Israele e ai suoi rappresentanti politici, visto che gli stessi cittadini israeliani la praticano da sempre con passione. Come nel caso, si ricorda, della protesta in corso “contro Netanyahu e la sua riforma giudiziaria”. Dunque “criticare Israele non è intrinsecamente antisemitismo”. Esiste però una “linea sottile” da non superare ed è bene esserne consapevoli. Non è antisemitismo “supportare la causa palestinese”, chiarisce l’istituto. È invece antisemitismo “negare o difendere il massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre scorso con stupri, decapitazioni, persone bruciate vive, torture, uccisioni sommarie”. Non è antisemitismo “criticare il primo ministro israeliano”, si legge ancora. Ma è senz’altro antisemitismo definire Israele “un paese che pratica apartheid e si ispira al nazismo”, cancellando non soltanto la radice ebraica del territorio, ma rifiutando anche di prendere atto dei diritti di cui godono “due milioni di arabi israeliani, il 21,1% della popolazione”, oltre che gli altri 600mila cittadini non arabi e non ebrei che si riconoscono nell’ampio spettro di fedi e identità del mosaico israeliano. Altri ancora sono gli esempi proposti, nella convinzione che si possa certo esprimere solidarietà ai palestinesi, ma che ciò vada fatto “senza rimuovere i fatti e la storia” e senza negare agli ebrei “la propria umanità”. Agire in modo diverso “non significa essere pro-Palestina, ma semplicemente antisemiti”.