USA – L’odio tra le minoranze che nasce nei college d’élite
Il 6 ottobre accompagno mia madre, in visita qui a Washington D.C., a trovare una amica ebrea di lunga data. Appena seduto nel salottino parlo di Micol, mia figlia diciassettenne che sta preparando le applications per l’università. È un momento di stress e abbiamo paura di mandarla in un mondo ostile. La questione mi angoscia: la marginalizzazione degli studenti ebrei è la regola nei campus universitari americani. L’amica di mia madre mi guarda allibita: non ha la minima idea di cosa stia parlando ma io non sono sorpreso. Di questo antisemitismo si parla pochissimo perché viene da sinistra e gli ebrei americani, molti dei quali liberal, hanno deciso di minimizzarlo. Oppure non ne hanno mai sentito parlare, perché sui giornali che leggono, e sui canali televisivi che guardano, il tema è ignorato. Parlarne significherebbe entrare in contrasto con gruppi – dagli afroamericani alla galassia lgbt – con i quali abbiamo condiviso battaglie storiche: siamo sempre in prima linea per i diritti degli altri ma nessuno ricambia la cortesia.
Michelle Goldberg del New York Times, l’anno scorso scrisse un editioriale sull’antisemitismo in America riuscendo nell’impresa di ignorare l’antisemitismo nei campus universitari. Le risposi nei commenti: “Bell’inizio, dov’è il resto dell’articolo?”, facendo presente come il campus universitario sia il luogo più ostile ormai da tempo. Nessuna risposta. E quando Ronald Lauder, capo del World Jewish Congress, ha affrontato a questione sulla stampa è stato ignorato perché ne ha scritto sul New York Post, un giornale conservatore, cioè fuori dalla cassa di risonanza liberal. E poi viene il pogrom di ottobre a segnare le nostre vite. Dopo l’11 settembre la sinistra europea scese in piazza, solidale, sventolando le bandiere Usa. Questa volta abbiamo invece ottenuto una marea di odio anti-ebraico con celebrazioni per il massacro appena consumato. Epicentro di questa furia antisemita? i campus universitari. Trenta associazioni studentesche di Harvard firmano una lettera in cui incolpano Israele per la mattanza di Hamas. A Stanford, un professore manda in un angolo gli studenti ebrei umiliandoli. A Cooper Union, folle di studenti cercano di linciare colleghi ebrei che si rifugiano in biblioteca. A Cornell e Columbia alcuni professori definiscono il massacro “energizzante ed esilarante”. Alla George Washington University studenti proiettano su un’edificio in lettere giganti “gloria ai nostri martiri”. Le amministrazioni universitarie rispondono con timidezza citando la libertà di parola (ma si tratta d‘incitamento all’odio che non è protetto dal diritto di parola), più preoccupate di proteggere i bulli che gli studenti aggrediti: la condotta criminale è ignorata. Chi è in prima linea a spargere tutto questo odio? Serve precisare che questi college non sono parcheggi di studentima ambienti elitari dove si modella la leadership american di domani: futuri parlamentari, giornalisti, capitani di industria, direttori del personale, professori universitari. Winston & Strawn, uno degli studi legali più prestigiosi del mondo, ha rescisso l’offerta di lavoro che aveva già pronta per il capo degli studenti della facoltà di legge della New York University dopo che questi aveva pubblicamente difeso le atrocità di Hamas. Per inciso il suo stipendio iniziale sarebbe stato più del triplo del salario medio negli Usa. La buona notizia è che laddove le università si sono rivelate moralmente corrotte, pressoché tutti gli studi legali internazionali hanno mandato un messaggio chiaro: la professione è preclusa agli antisemiti.
Va dunque capito il quadro ideologico che spinge tante persone destinate a una vita di successo a farsi vettori dell’odio antiebraico. Un quadro che l’editorialista Bari Weiss denuncia da anni come una seria minaccia alla nostra democrazia liberale. Si tratta di un pensiero senza un vero e prorio nome – a volte viene indicato come Identity Marxism o Progressivism – tanto corrosivo quanto banale. In sostanza, il mondo si divide in oppressi ed oppressori. Ogni relazione umana è un conflitto. Non si è dunque individui ma si appartiene a una categoria. È un’ideologia che, tra le altre cose, ha soppiantato l’obbiettivo ultimo di una società color-blind profetizzata da Martin Luther King Jr. per una dove l’individuo è giudicato per la sua etnia, la sua “razza”. I bianchi sono oppressori, i non bianchi sono gli oppressi e la virtù individuale è inversamente correlata al “privilegio” storico della categoria di appartenenza. È una ideologia che disprezza i valori occidentali e non considera l’America come una forza, per quanto imperfetta, di progresso del mondo. È un’ideologia che pratica un revisionismo storico, rileggendo la storia americana solo alla luce del passato schiavista: in questa logica ogni istituzione è costruita sulla difesa della supremazia del patriarcato bianco.
Come un virus fuoriuscito da un laboratorio, questa ideologia, partita da qualche faculty lounge, ha trovato terreno fertilissimo nei movimenti di lotta per i diritti civili e sta infettando tutte le istituzioni liberal (giornali, università, fondazioni) del paese. La stessa Bari Weiss se ne andò dal New York Times nel 2020, denunciandone la deriva ideologica. In molte di queste istituzioni (che gli ebrei hanno contribuito a creare e a far crescere) gli ideali “liberal” sono stati sostituiti con qualcosa di sinistro e fondamentalmente illiberale. E l’uso di termini come diversità, inclusione, ed equità servono solo a fra cadere in trappola i giovani idealisti. In questo mondo gli ebrei sono bianchi (oppressori). Anzi, “super-bianchi” perché siamo un popolo di successo. Siamo il 2% della popolazione americana, ma siamo sovrarappresentati a Hollywood a Wall Stree A chi abbiamo rubato questo successo? E poi c’è il legame con Israele, visto come l’ultimo progetto coloniale. Non importa che la metà degli israeliani siano di origine mizrahi (cacciati cioè dai paesii arabi). Non importano il progresso scientifico (impossibile da inquadrare nella framework marxista), i giudici drusi e arabi, o che gli ebrei sono indigeni nella terra d’Israele: i fatti non devono oscurare la narrativa. Negli occhi di questi nuovi pasdaran il bambino ebreo decapitato è un oppressore prima di essere un bambino. La donna incinta? Una colonizzatrice. Tutto è giustificato: il diritto di rivalsa degli oppressi è inalienabile E Israele va distrutto from the river to the sea. C’è chi, tra gli ebrei liberal, reagisce ricordando che siamo storicamente un popolo oppresso e non oppressore, e che non siamo proprio bianchi ma è un tentativo patetico di farci accettare da chi ci odia. È una strategia perdente perché ogni ideologia illiberale è antitetica all’ebraismo. Questa ideologia orripilante va riconosciuta, smascherata, combattuta agressivamente e smantellata senza se e senza ma. Ne va del nostro futuro come ebrei e del futuro della dignità umana.
Paolo Curiel, Washington DC
Nella foto studenti del Baruch College e di CUNY partecipano alla “Giornata della rabbia” indetta da Hamas (13 ottobre 2023)