CALCIO – Arpad Weisz, a 80 anni dalla morte
Il ricordo vive in Italia e nel mondo
Nel 1938, l’anno della promulgazione delle leggi antisemite, il settimanale Il Calcio Illustrato fu piuttosto esplicito: “È certo che fra i moltissimi allenatori danubiani non mancano gli israeliti. Che costoro, venuti tutti fra noi dopo il 1919, debbano far le valigie entro sei mesi non ci rincresce davvero, poiché così finiranno di vendere fumo con quell’arte imbonitoria propria della razza”. Il “danubiano” più celebre rispondeva al nome di un ungherese che era ormai italiano d’adozione, Arpad Weisz, di cui ricorre oggi l’ottantesimo anniversario della morte ad Auschwitz. Fino al 1938 era stato uno degli allenatori più osannati dal pubblico nostrano ed europeo: tre scudetti vinti tra Inter e Bologna, la scoperta di un campione del calibro di Giuseppe Meazza, la capacità rara di essere maestro sia di sport che di valori. I provvedimenti antisemiti innescarono nell’ordine l’emarginazione professionale, la fuga dall’Italia e la ricostruzione di un fragile equilibrio in Olanda, dove i nazisti l’avrebbero comunque catturato insieme alla moglie Elena e ai figli Roberto e Clara, deportandoli tutti e quattro in campo di sterminio.
Nessuno sarebbe tornato, come racconta il libro “Dallo scudetto ad Auschwitz” (ed. Diarkos) del giornalista Matteo Marani, che ha ricostruito la traiettoria di vita e morte dell’allenatore nato nella cittadina di Solt nel 1896, formatosi come calciatore nelle file del Maccabi ed emigrato in Italia a metà degli anni Venti per insegnare l’arte del pallone, di cui all’epoca gli austro-ungarici erano tra i più raffinati interpreti. Non solo a Milano e Bologna, dove più avrebbe lasciato un segno, ma anche ad Alessandria, Novara, Bari. Di lui, dalla deportazione ad Auschwitz, si era persa ogni traccia. Era come scomparso dalla storia, inghiottito in un buco nero. Ci ha pensato Marani a colmare ogni vuoto con il suo documentatissimo libro, pubblicato una prima volta nel 2007 e da allora oggetto di innumerevoli riedizioni. Pagine da risfogliare in questo 80esimo anniversario sono anche quelle del manuale “Il giuoco del calcio” scritto da Weisz assieme ad Aldo Molinari, da poco ristampato dall’editore Minerva e al centro nel 2018 di una mostra al Museo ebraico di Bologna. Una miniera di spunti in ogni senso, non solo sportivo. “La maggior cura nell’allenamento fisico dell’atleta non riuscirà mai a far raggiungere la miglior condizione e a portare al più alto rendimento un giuocatore se questi, fuori dal rettangolo di giuoco, non saprà imporsi un regime di vita consono alle necessità di un calciatore”, ammoniva Weisz quasi un secolo fa. L’atleta in questione potrà infatti “avere giornate luminose, nelle quali le doti naturali di talento calcistico troveranno rispondenza nei mezzi fisici”. Ma saranno sprazzi, concludeva, “poiché le intemperanze nel tenore di vita ripiomberanno l’atleta in periodi di grigiore e di insufficienza di forma”. Il nome di Weisz oggi campeggia non solo su carta ma anche nella curva sud del Bologna, a lui intitolata dal 2018.
Negli scorsi giorni si è svolta una cerimonia commemorativa davanti alla targa che ne ricorda le glorie calcistiche e il tragico destino, alla presenza tra gli altri dell’amministratore delegato del club Claudio Fenucci e del presidente della Comunità ebraica Daniele De Paz. Era presente anche Marani, presidente dal febbraio del 2023 della Lega Pro, il campionato di serie C che ha celebrato il Giorno della Memoria con iniziative e campagne social contro l’odio, ricordando la lezione di Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Nell’occasione del 27 gennaio Marani ha anche svelato: “La sera prima che il libro uscisse, in un’inspiegabile eclissi del destino di quest’uomo, digitai il suo nome: appariva in appena sei siti internet, citato soltanto per le rose delle squadre allenate”. Oggi la sua storia “sono più di 200mila pagine, in ogni lingua”. E lapidi sono state disvelate non soltanto a Bologna, ma anche nelle altre città italiane in cui ha vissuto e lavorato. Ma è una vicenda che ha fatto ormai il giro del pianeta: a Stamford Bridge, l’impianto del Chelsea, “è in un grande murales fuori dallo stadio”, mentre a Budapest è nella statua svelata prima della finale di Europa League della scorsa primavera “sul campo in cui cominciò la sua carriera di calciatore”. Nel dramma di Weisz, sottolinea Marani, “vorrei che rimanesse presente e chiaro il tragico destino di un’intera famiglia”. Quest’estate il giornalista-dirigente è passato da Dordrecht, in Olanda, dove i Weisz vissero dal 1939 e dove furono arrestati nel 1942. “Fuori di casa sono state messe da poco quattro pietre di inciampo. Stanno lì, lucenti sul selciato, con la luce che cade sul metallo e sulla coscienza di tutti”.
Adam Smulevich