ISRAELE- Angelica e Yehuda a Firenze spiegano “la pace vera”
Se c’è una cosa che Israele non può permettersi né oggi né mai è “di non avere speranza”, racconta Angelica Edna Calò Livne, attivista italo-israeliana per la pace e residente del kibbutz Sasa sulla frontiera con il Libano. Dei circa 500 residenti abituali, per via dei timori di un possibile attacco di Hezbollah sulla falsariga del 7 ottobre, sono rimasti appena una ventina. Un ristretto gruppo di cui fanno parte lei e suo marito Yehuda, responsabile della sicurezza del kibbutz. Romana di nascita, emigrata in Israele ventenne, Angelica parla dal Salone dei Duecento di Palazzo Vecchio a Firenze, dove spiega cosa significa per lei “pace”, che resta meta da perseguire con passione “ma certo non con chi ci vuole distruggere come Hamas ed Hezbollah”. Pace, sottolinea l’attivista, ospite del Consiglio comunale, della Comunità ebraica e dell’associazione Italia-Israele, è costruzione di incontro e convivenza. Una normalità “dal basso” che è la cifra di Beresheet LaShalom, il laboratorio multiculturale e multireligioso animato da oltre vent’anni dai coniugi Livne, oltre all’esperienza quotidiana di Sasa dove ebrei e arabi lavorano fianco a fianco anche in queste settimane difficili, in un paese “che è ancora in pieno trauma” e con razzi che dal vicino Libano passano spesso sopra le loro teste (uno ha colpito in dicembre una abitazione del kibbutz, per fortuna disabitata). Yehuda, che la sta accompagnando in una serie di incontri in tutta Italia, annuisce. “Con una mano lavoriamo, con l’altra siamo pronti a imbracciare il fucile per difenderci”, sottolinea l’uomo, nel descrivere la quotidianità “al fronte” di Sasa. Aprendo la serata Enrico Fink, il presidente della Comunità ebraica fiorentina, aveva detto che “la pace è un percorso per niente scontato e semplice: non la si costruisce con gli slogan, con prese di posizione facili, con un post su Facebook”. L’invito di Fink è a “toglierci dagli occhi quei pregiudizi che condizionano il dibattito anche nella nostra città”. La professoressa Silvia Guetta, intervenuta in rappresentanza dell’associazione Italia-Israele, ha denunciato che “dopo il 7 ottobre ci si sarebbe potuti aspettare delle reazioni unanimi” di solidarietà e che “invece c’è stato chi ha voltato le spalle”, citando organizzazioni come Amnesty International e definendo l’accusa a Israele di compiere un genocidio da parte del Sudafrica “infondata e infamante”. Gadi Piperno, il rabbino capo di Firenze, ha raccontato che suo padre è stato operato di recente da un medico arabo che gli ha salvato la vita. Questo per dire che “le corsie degli ospedali israeliane sono piene di medici e infermieri arabi: tutta Israele è così”, ha detto il rav. Ghila Lascar, consigliera dell’Unione giovani ebrei d’Italia, ha poi testimoniato dal pubblico l’inquietudine degli studenti ebrei davanti al nuovo clima di odio e risentimento che ha contagiato anche gli atenei. Mentre l’editore Daniel Vogelmann si è scagliato contro chi, anche nella sfera politica, asseconda tali pulsioni. Conclusa l’iniziativa, si è svolta in Comunità una cena in onore di Angelica e Yehuda, oltre che del console onorario d’Israele Marco Carrai, vittima in questi giorni di una campagna di delegittimazione che punta a un suo passo indietro da presidente dell’ospedale pediatrico Meyer.