LA RIFLESSIONE – Dalla ricongiunzione
al ricongiungimento
“Colui che fa la Pace nell’Alto dei Cieli con la Sua misericordia faccia la Pace anche su di noi e su tutto Israel”. Rinnoviamo questa preghiera ogni volta che terminiamo la ‘Amidah, il Qaddish e la Birkat ha-Mazon. Fin da antico le civiltà sono state attratte dal cielo e dagli astri. Ma mentre altri hanno attribuito ai moti stellari un’influenza irrevocabile sulle terrene vicende, confinando l’uomo a un ruolo meramente passivo, noi ebrei vediamo in essi una fonte di ispirazione. Ciò significa che osserviamo ciò che avviene sopra di noi, ne apprezziamo la sublimità e ci sforziamo di tradurlo in basso mediante il concorso della nostra intelligenza. Un commentatore osserva che l’uomo dovrebbe imparare proprio dalle galassie che interagiscono nello spazio infinito a ricercare costantemente un accordo con i propri simili.
“Se non c’è Pace, non c’è nulla” (Rashì a Wayqrà 26, 6). Scrive in proposito R. Bachyè esordendo il suo commento alla Parashat Mishpatim: “La Giustizia (mishpat) è il fondamento della Pace (shalom). Pertanto Yitrò, dopo aver dato consigli a Mosheh in merito all’amministrazione della Giustizia, ha concluso dicendo: ‘se metterai in pratica queste cose… tutto il popolo giungerà al proprio posto in Pace’ (Shemot 18, 23). La Pace è indispensabile per il mantenimento del mondo: l’amministrazione della Giustizia è affidata ai saggi, perché ‘i saggi accrescono la Pace nel mondo’ (Berakhot 64a) ed è proibito presentare Giustizia al cospetto di altri che non siano i saggi di Israel. ‘E queste sono le regole di Giustizia (mishpatim) che presenterai dinanzi a essi’ (Shemot 21, 1): dinanzi ai saggi e non dinanzi a qualunque cittadino (Ghittin 88b)”.
Tre settimane fa nella Parashat Bo abbiamo letto la prescrizione di fissare il nostro calendario contestualmente alla liberazione dall’Egitto. Spiega Sforno che finché eravamo schiavi non avremmo potuto gestire il nostro tempo. Da allora in poi saremmo stati chiamati a osservare i moti del sole e della luna, che fin dalla Creazione “sono designati per scandire le feste, i giorni e gli anni” (Bereshit 1, 14). Si tratta di effettuare, come vedremo, un’operazione di ricongiunzione. E’ questo un termine oggi molto in voga nel linguaggio burocratico per definire l’atto di riunire due pratiche d’ufficio allo scopo di perseguire un fine utile altrimenti precluso. Se si parla invece di riavvicinare persone, per esempio membri della stessa famiglia, preferiamo adoperare il termine ricongiungimento.
A chi sarebbe stato affidato il delicato compito? “H. disse a Mosheh e a Aharon in terra d’Egitto dicendo: ‘Questo mese sarà per voi il primo dei mesi, il primo sarà per voi fra i mesi dell’anno’” (Shemot 12, 1-2). Commenta ancora R. Bachyè: “La Mitzwah di stabilire i mesi e gli anni non è destinata a ogni singolo ebreo. E’ invece riservata a un tribunale di esperti come Mosheh e Aharon: per questo la Parola è qui rivolta a entrambi dicendo: “per voi”. L’invito: ‘Parlate a tutta la Comunità di Israel…’ è dato subito dopo (v. 3): una volta presa la decisione in merito al calendario, l’autorità preposta la comunica al popolo.
Per secoli l’incarico è stato appannaggio del Sinedrio, garante supremo del mishpat, finché la condizione politica di Eretz Israel non l’ha più consentito e allora il Patriarca Hillel II (metà del IV sec.) ha messo a disposizione le regole di un “calendario perpetuo”, seguite tuttora. “Non c’è procedura – aggiunge il commentatore – che richieda maggior sapienza e competenza della determinazione del calendario, basata su molte tradizioni orali: come quella che prevede per stabilire il capo-mese (Rosh Chodesh) l’alternanza di 5 mesi di 29 giorni con 5 di 30, più due mesi variabili (Cheshvan e Kislew), o quella del mese intercalare che produce un anno embolismico (shanah me’ubberet, di 13 mesi) 7 volte ogni 19 anni”. Le feste hanno infatti una data fissa nel lunario, ma sono strettamente legate anche alle stagioni: di qui l’esigenza di conciliare l’anno solare di 365 giorni con quello lunare che ne conta mediamente solo 354. Come è noto il mese intercalare è un secondo Adar (Adar Shenì) e la sua adozione provoca lo slittamento delle feste da Purim in avanti. “Non esiste al mondo metodo più preciso di questo nel ricongiungere sole e luna” (Meirì a Sanhedrin 13a).
Se in origine il difficile compito era interamente affidato all’autorità suprema, resta ancora da comprendere perché il versetto coinvolga Aharon come destinatario del messaggio accanto a Mosheh. Qui si evidenzia il rapporto fra mishpat e shalom. Se infatti Mosheh rappresenta l’antesignano del re di Israel (cfr. Rashbam a Bereshit 36, 31), ovvero il potere “civile”, Aharon fu il primo Gran Sacerdote (Kohen Gadol) che incarna il potere “religioso”. La Torah ci vuole insegnare da un lato che la determinazione del calendario è riservata ai detentori del potere, ma dall’altro che i diversi leader devono essere coinvolti alla pari, benché (o forse proprio perché) al loro interno possono manifestare istanze differenti e persino contrastanti. Il messaggio è chiaro: siano i responsabili del mishpat a mettersi d’accordo sulla decisione da prendere e così dare per primi esempio di shalom. Ecco che l’atto di ricongiunzione celeste fra due cose, nella fattispecie due astri, diviene ricongiungimento fra due persone sulla terra. Se tuttavia questo non fosse possibile, meglio che le due parti in conflitto si ritirino!
Allorché l’autorità era chiamata a decidere sul mese intercalare (‘ibbur shanah) di volta in volta, accanto ai fattori astronomici entravano in gioco esigenze concrete della società legate per lo più alla meteorologia. Il Talmud narra che si procedeva all’’ibbur shanah per esempio se le strade e i ponti guastati dalle piogge invernali non fossero stati ancora pronti per il passaggio dei pellegrini diretti a Yerushalaim per Pessach e si preferiva far sì che la festa fosse rinviata (Sanhedrin 11a). Ma le parti avrebbero potuto esprimere istanze loro proprie e pregiudicare il raggiungimento dell’accordo. Il re era interessato a introdurre il mese intercalare: dovendo corrispondere la paga ai soldati su base annua, il prolungamento gli avrebbe consentito un risparmio. Il Kohen Gadol sarebbe invece stato tendenzialmente contrario: dovendo immergersi cinque volte nel Miqweh durante il digiuno di Kippur per servire a piedi scalzi tutto il giorno sul pavimento freddo del Santuario (cfr. Mishnah Yomà 1, 7; 3, 5) avrebbe preferito evitare lo slittamento della ricorrenza verso l’inverno. Il Talmud stabilisce pertanto di escludere entrambi dalla decisione (Sanhedrin 18b; Maimonide, Hilkhot Qiddush ha-Chodesh 4, 11). Secondo un commentatore, piuttosto, il divieto era solo di ammettere uno in assenza dell’altro: se entrambi avessero partecipato, anzi, l’esito sarebbe stato perfezionato con il massimo consenso (Yalqut ha-Urim). Per questo il versetto si è rivolto a Mosheh e Aharon su un piano di parità dicendo a entrambi: “questo mese sarà per voi il primo dei mesi”. La decisione finale dipende solo dalla vostra capacità di accordarvi.
“Mishpat di shalom giudicate alle vostre porte” (Zekharyah 8, 16). Quest’anno è embolismico e dunque emblematico: mishpat e shalom vengono insieme. La Parashat Mishpatim coincide con il Rosh Chodesh del primo mese di Adar: festeggeremo Purim solo il mese venturo. Che la ricongiunzione fra sole e luna sia d’auspicio affinché anche sulla terra e in particolare in seno al nostro popolo sia ritrovato il ricongiungimento fra le differenti posizioni e le divisioni si trasformino in visioni. Che queste, pur esprimendo esigenze diverse, operino una mediazione (mitzùa’, direbbe il Maharal di Praga, o meglio hashlamah, “completamento”, da shalom) e la ritrovata armonia vada nell’interesse e per il bene di tutti.
Rav Alberto Moshe Somekh