USA – Il dirottamento palestinese del movimento per i diritti civili dei neri

“Non è una coincidenza che la ‘palestinesizzazione’ del movimento americano per i diritti civili sia essenzialmente un progetto anti-americano. L’intersezione del culto palestinese del vittimismo con l’ideologia progressista ‘antirazzista’ considera Israele – come l’America – razzista, in maniera intrinseca e sistematica. Quindi entrambi i progetti nazionali andrebbero smantellati. Che una generazione di giovani radicali americani scelga di ignorarlo è già abbastanza spaventoso. Che anche docenti e politici ne abbraccino il messaggio è terrificante”.
Sono conclusioni dello storico Gil Troy, in un articolo pubblicato dal Tablet il 1 febbraio in cui spiega un fenomeno poco noto in Italia: la sinistra statunitense ha fatto della fedeltà alla causa palestinese uno dei suoi caposaldi, mescolandone gli slogan con quelli dei movimenti per i diritti civili. L’artificiosità e l’assurdità di una presunta “intersezionalità” tra Palestina e l’ultima causa di qualche gruppo identitario non pare rilevante: è un argomento queer, è una questione femminista e di giustizia sociale. In comune l’essere oppressi, indipendentemente da quanto sia omofobica, sessista o dittatoriale la società palestinese. Un’idea che ha una presa fortissima sui giovani, ma per integrare i palestinesi tra vittime o minoranze “protette” servivano un peso sia sociale che culturale e politico tale da rendere necessario il tema razziale. La causa palestinese ha dovuto “sfruttare” l’esperienza storica dei neri americani, e dal 2020 le manifestazioni per la Palestina si intersecano, per slogan ed estetica visiva con il movimento Black Lives Matter, senza la benché minima connessione con la realtà storica della discriminazione su base razziale. Le differenze sono enormi:  i palestinesi non hanno avuto alcun ruolo nella storia americana o nella storia della schiavitù né nella lotta per i diritti civili. È una questione nazionale e non razziale, la maggior parte degli israeliani ha la pelle scura e alcuni palestinesi hanno la pelle chiara. Inoltre, come spiega Troy su Tablet, è stata la non-violenza ad alimentare la lotta per i diritti civili mentre il movimento palestinese utilizza forme di violenza sempre nuove, e che non paiono avere fine.
Eppure nel 1975 quando le Nazioni Unite avevano bollato il sionismo come una forma di “razzismo”, la maggior parte dei principali leader afroamericani si era opposta all’idea continuando a sostenere Israele. L’identificazione con il sionismo attingeva a legami storici cresciuti in decenni di lotte congiunte. Ma l’equazione tra sionismo e razzismo, pur se astorica e ingiusta si è radicata e continua, per collocare gli ebrei americani fuori dalla moralità statunitense stigmatizzando Israele con la colpa storica dell’America: il razzismo. Neri e palestinesi sono identificati come vittime di una stessa violenza strutturale, dell’occupazione e di una “oppressione coloniale” inflitta dai “bianchi”. Gli ebrei diventano oppressori razzisti. Ovviamente.
a.t.