OSTAGGI – I famigliari sperano in un accordo con Hamas

“Riportateli a casa tutti. Ora”. L’appello dalle piazze israeliane è lo stesso da 124 giorni. Decine di ostaggi sono stati rilasciati, ma ancora 136 persone sono in mano a Hamas. Almeno 31 fra queste non sarebbero più in vita. “Sono passati quattro mesi, ma non vi dimentichiamo. Lotteremo fino a che non sarete tutti liberi”, scrivono dal comitato dei parenti degli ostaggi. I loro appelli sono diretti al governo israeliano e alla comunità internazionale affinché finisca la loro agonia e, dopo quattro mesi, possano tornare a riabbracciare i loro cari.
La speranza delle famiglie è un nuovo accordo con Hamas. Secondo la stampa internazionale, il gruppo terroristico ha proposto un cessate il fuoco di quattro mesi e mezzo. Durante questa tregua gli ostaggi verrebbero liberati in tre fasi in cambio della scarcerazione di prigionieri palestinesi con condanne gravi e del ritiro dei soldati dalla Striscia di Gaza. Un’opzione, quest’ultima, esclusa da Gerusalemme. Dei negoziati in corso, mediati da Stati Uniti e Qatar, il primo ministro Benjamin Netanyahu discute oggi con il segretario di stato americano Antony Blinken, in Israele per la quinta volta dal 7 ottobre. Le autorità israeliane non si fidano dei terroristi e hanno un doppio obiettivo: liberare i rapiti, ma anche eliminare la minaccia di Hamas affinché un altro 7 ottobre non sia possibile. Nel mentre però le famiglie dei rapiti aumentano la pressione e chiedono l’intesa.
“Israele è nota per il suo coraggio, per non abbandonare i suoi feriti sul campo. Cosa è successo? Sono passati quattro mesi e il paese ha cambiato volto?“, gli interrogativi posti da Daniel Lifschitz dalla piazza di Tel Aviv. La nonna Yocheved, 83 anni, è stata liberata, mentre il nonno Oded, 85 anni, è ancora prigioniero. “Mi aspetto che il governo e lo Stato non abbandonino gli ostaggi sul campo. Mi rivolgo al gabinetto di guerra: in questo momento critico, solo voi potete aiutarci. Assumetevi la responsabilità e arrivate un accordo. Non avete alcun mandato per perdere questa opportunità“. Una posizione simile è stata espressa da Hadas Calderon, lei e i suoi due figli Sahar (16 anni) ed Erez (13) sono stati rapiti e liberati. Ma il padre dei due ragazzi, Ofer, è ancora imprigionato a Gaza. “I sequestrati sono un peso? Sono una seccatura? Scusate, scusate se ci hanno brutalmente rapito, scusate se abbiamo difeso il confine, scusate per aver creduto di essere salvi e protetti”, ha dichiarato polemicamente Calderon. “Chi non può riportare a casa gli ostaggi, allora dia mandato a chi può. Dovete riportarli a casa vivi”.
Oggi si è anche svolta una marcia a Gerusalemme per commemorare, a quattro mesi di distanza, le oltre 1.200 persone assassinate dai terroristi palestinesi il 7 ottobre. “Se non fosse stato per gli infiniti aiuti privati, non ci sarebbe stata alcuna commemorazione oggi”, ha dichiarato a Yedioth Ahronoth Erez Sarfati, padre di Ron, assassinato il 7 ottobre. “Abbiamo perso la cosa più preziosa, ma nessuno dal governo ha pensato a una cerimonia commemorativa”, ha aggiunto Shimon Buskila, il cui figlio Jordan è stato assassinato al festival musicale nel Negev. “Siamo qui perché non vengano dimenticati. Sarò ovunque per commemorare mia figlia, così tutti sapranno sempre chi è“, ha aggiunto Michal, madre di Shani Gabai, anche lei uccisa durante il festival.

(Nell’immagine, una manifestazione in Israele del Comitato delle famiglie degli ostaggi)