La tela di Teheran in Yemen:
breve storia degli huthi

Dal 1979 l’Iran khomeinista promuove la Giornata di al-Quds (Gerusalemme): un evento per dimostrare solidarietà alla causa palestinese e per esprimere il proprio odio contro Israele e gli Stati Uniti. In molti paesi musulmani questa manifestazione è diventata una tradizione. In Yemen, per esempio, Hussein Badreddin al-Houthi, leader di una corrente sciita locale, nel 2001 usò questo giorno per sostenere in un suo sermone che le nazioni arabe e musulmane “non saranno liberate dal male degli ebrei se non attraverso il loro sradicamento e l’eliminazione” dello stato ebraico. Non sorprende dunque che il movimento di cui fu fondatore – oggi noto come houthi o huthi – fece di questa retorica letteralmente la propria bandiera: “Allah è grande! Morte all’America! Morte a Israele! Siano maledetti gli ebrei! Vittoria per l’Islam!” è il motto stampato sui vessilli del gruppo ribelle yemenita, diventato una minaccia internazionale. Appoggiati dall’Iran, gli huthi da anni sono protagonisti di una violenta guerra civile in Yemen in cui è coinvolta, sul fronte opposto, l’Arabia Saudita. Con il 7 ottobre il loro sostegno alla causa palestinese si è tradotto in un plauso a Hamas per i massacri compiuti e in ripetuti attacchi contro Israele nel e dal Mar Rosso. Per Ari Heistein, esperto israeliano di Yemen, l’attivismo degli huthi contro lo stato ebraico è in realtà un tentativo di “distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni” e presentarsi come attore protagonista nella scacchiera internazionale. “È difficile stabilire se alla fine queste azioni funzioneranno, se cioè forniranno al gruppo ulteriore legittimità e credibilità tra la popolazione interna”, spiega Heistein a Pagine Ebraiche.
Gli huthi hanno acquistato potere nei primi anni del nuovo millennio grazie “al lento decadimento della leadership politica nazionale” e alla “rapida spinta della Primavera araba del 2011”. Dopo aver conquistato la capitale Sana’a nel 2014, la milizia filoiraniana ha chiuso i conti con il presidente Ali Abdullah Saleh: “Pensava di controllarli, ma i ribelli lo hanno assassinato nel 2017”. Tredici anni prima, era stato il governo di Saleh a eliminare il loro capo e leader spirituale, Hussein al-Houthi. Oggi il gruppo, oltre a portarne il nome mantiene la visione del mondo dell’ex leader politico, militare e religioso, esponente dello Zaydismo, variante yemenita dell’islam sciita. “Il loro slogan, noto come ‘l’urlo’, è il risultato di una forte spinta anti-occidentale e della potente influenza dell’Iran”. Del resto, è proprio durante la Giornata di al-Quds a Teheran che l’urlo “Morte agli Stati Uniti, morte a Israele” si è consolidato come slogan politico. Per Heistein gli attacchi di questi mesi a Israele sono soprattutto una “fastidiosa e costosa distrazione”.
“La loro migliore scommessa è quella di presentarsi come i ‘guastafeste’ della navigazione internazionale. L’interruzione delle rotte marittime non può essere solo fermata con un sistema di difesa missilistica, ma deve essere affrontata. E questo è ciò che vogliono gli huthi: non essere ignorati”. L’annuncio Usa dell’avvio di una coalizione internazionale per fermarli – l’Italia partecipa con la fregata Virgilio Fasan della Marina Militare – è dunque, per assurdo, un risultato, in attesa di una forma di legittimazione. Per l’esperto israeliano, però, la nuova coalizione non basta e Gerusalemme dovrebbe “fornire un sostegno limitato e condizionato al Consiglio di Transizione del Sud (Cts)”, impegnato a contendere il potere ai ribelli di Sana’a. “Potrebbe essere parte di una strategia anti-huthi più ampia e completa. Tuttavia, nell’ultimo anno o due il Cts sembra aver raffreddato i rapporti con lo stato ebraico e il leader del gruppo, prodigo di commenti pro-Israele, è piuttosto silenzioso”.
Chi non è rimasta silente è l’Arabia Saudita. Dopo aver finanziato la guerra contro i ribelli zayditi per motivi di influenza regionale, Riad da alcuni mesi ha aperto le trattative per una tregua. “Se i negoziati dovessero portare gli huthi a diventare meno bellicosi e a concentrarsi sulla loro economia devastata, allora sarebbe uno sviluppo straordinario per la popolazione dello Yemen e della regione”, sottolinea Heistein.
A preoccuparlo però è la possibilità che l’Arabia Saudita si accordi per pagare gli huthi una forma di pizzo perché non l’attacchino più. “Denaro poi usato per espandere le capacità militari del gruppo yemenita e colpire Israele e l’Occidente”. L’esperto non si fida e aggiunge: “È importante ricordare che i gruppi radicali sostenuti dall’Iran si riposano solo per ricaricarsi. I loro obiettivi rimarranno invariati e si impegneranno nella diplomazia solo se servirà a raggiungerli. Gli huthi sono spietati, hanno ricevuto armi e addestramento avanzati dall’Iran e da Hezbollah. Sono crudeli nei confronti dei loro concittadini yemeniti. Si tratta di estremisti pericolosi e Israele nel lungo periodo dovrà affrontarli”.

(Foto akramalrasny)