Angelo Adam, la vita drammatica
dell’ebreo che non era ebreo
Una vita breve e tragica, quella di Angelo Adam (1900-1945), a un tempo epitome dei drammi che attraversarono la prima metà del Novecento ma anche delle difficoltà della memoria nella seconda parte del secolo e oltre, fino a oggi. Nato a Fiume, operaio specializzato, militante politico e sindacale sin dall’adolescenza, Adam fu autonomista fiumano, legionario con D’Annunzio nella “Reggenza del Carnaro”, ma antifascista, di tendenza repubblicana, poi socialista, e infine legato a Giustizia e Libertà, Adam passò buona parte della propria vita adulta, dal 1926 in poi, in esilio, prima nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (dal 1929 Regno di Jugoslavia), poi dal 1934 nella Francia governata dal Fronte popolare, talvolta lontano, talvolta assieme alla moglie, Erna Stefancich (nel 1924 era nata l’unica figlia, Zulema). Messo profondamente in crisi, come molti antifascisti non comunisti (e anche qualche comunista), dal patto Molotov-Ribbentrop (24 agosto 1939) che aprì le porte alla Seconda guerra mondiale, Adam, nel frattempo costretto a rientrare in Jugoslavia, mentre moglie e figlia avevano ripreso dimora a Fiume, decise a maggio del 1940 di tornare nella sua città, avendo appreso che la condanna comminatagli in precedenza dal Tribunale Speciale del regime fascista era ormai prescritta. L’OVRA, tuttavia continuava a tenerlo d’occhio e il 9 agosto 1941, quattro mesi dopo l’attacco congiunto di Germania, Italia, e Ungheria alla Jugoslavia, ne dispose il confino di polizia a Ventotene. Sarebbe restato sull’isola sino all’estate del 1943. Caduto il regime monarchico-fascista, Adam rientrò a Fiume e riallacciò i contatti con gli ambienti dell’antifascismo non comunista, che si stavano riorganizzando. Catturato dai tedeschi, che dopo l’8 settembre 1943 avevano preso il controllo delle province orientali del Regno d’Italia, fu deportato, in quanto oppositore politico, nel Konzentrationslager di Dachau il 30 novembre 1943. Riuscì a sopravvivere per 17 mesi, presumibilmente perché era un operaio specializzato, e ricomparve nel maggio 1945 a Fiume, appena occupata dall’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia a direzione comunista. Lì Adam riprese la propria militanza sia sindacale (divenne subito delegato operaio della fabbrica dove era stato assunto) sia politica, quest’ultima nelle reti antifasciste non comuniste. Come la storiografia ha ampiamente dimostrato, i circuiti antifascisti non disposti ad accettare l’egemonia del Partito comunista jugoslavo erano visti come il peggior nemico dal potere titino in via di consolidamento, il quale non esitava ad usare il proprio apparato di polizia politica, l’Ozna (costruito sul modello dell’NKVD staliniano, precursore del KGB) per liberarsi dei militanti sgraditi. Nel tardo autunno 1945, dopo una serie di contatti presi nei mesi precedenti con il CLNAI di Milano per conto dei circuiti resistenziali fiumani non comunisti, Ange-
lo Adam e la moglie vennero arrestati dall’Ozna e “liquidati in modo cospirativo”, come recita un documento coevo dell’organizzazione poliziesca segreta. Il giorno successivo scompare pure la figlia Zulena, ventunenne, andata alla sede di Fiume della polizia per chiedere notizie dei genitori. Vittime quindi, Adam ed i suoi, di tre dittature: fascismo, nazismo, comunismo.
Angelo Adam ebreo non era, e tuttavia come tale viene spesso raccontato, in siti e pubblicazioni di natura giornalistica; talvolta è addirittura definito “esponente della comunità ebraica di Fiume”, con cui invece non risulta aver avuto alcun rapporto. Tocca qui fare i conti, con la massima attenzione necessaria, con le distorsioni spesso presenti nella memoria pubblica consolidatasi successivamente agli eventi che pretende di raccontare; nel generarsi dell’equivoco può senz’altro aver inciso il suo cognome, Adam, dal suono biblico, ma ebbe un peso assai maggiore il fatto che a parlare di lui e della sua sorte sono stati prima di tutto siti e pubblicazioni espressione di organizzazioni degli espulsi e profughi istriani e dalmati: definirlo – com’era – militante antifascista suonava forse alle loro orecchie un po’ scomodo, ecco che allora attribuire la sua deportazione a Dachau ad una presunta origine ebraica salvava capra e cavoli.
Brunello Mantelli, storico, Università di Torino