IL CONTRIBUTO – Davide Assael: Israele rischia di perdere opportunità storica
Secondo Galit Distel Atbaryan, fra il 2022 e il 2023 ministra dell’Informazione del governo israeliano in carica, l’obiettivo dichiarato di Netanyahu di «vittoria totale» su Hamas è un «impegno chiaro». Un intento che passa dal rifiuto di Israele di ogni iniziativa diplomatica e si concretizza in una tragedia umanitaria e in un’occasione storica persa, che difficilmente ripasserà a breve nell’area mediorientale. Se la percezione della prima (al netto delle cifre che certo risentono della linea propagandistica di Hamas e che risultano contraddittorie con le stesse fonti palestinesi) è inevitabilmente offuscata dal sentimento di tradimento che pervade Israele per l’attacco subito proprio nelle zone più impegnate nella pace, la seconda dovrebbe destare un certo interesse, visto che rischia di riversarsi sulle future generazioni ebraiche e israeliane. Molto si è scritto sul parallelo, certamente cercato e voluto da Hamas, fra il 7 ottobre e la guerra del ’73. Oltre la data scelta per l’attacco, anniversario della Guerra di Kippur, c’è l’effetto sorpresa che coglie il Paese impegnato a celebrare una data solenne del calendario ebraico (Simchàt Torà). A mio giudizio, i paralleli finiscono qui e non averlo capito è stato già il primo passo per avvalorare la strategia criminale di Hamas, che criminale è anzitutto verso il proprio popolo. Niente di nuovo, ci vuole tutto il carico di duemila anni di antigiudaismo cristiano ereditato dall’intellighenzia occidentale per trasformare un movimento omofobo, antisemita e mafioso in una sorta di CNL mediorientale. La prima, grande differenza è che, se nel 1973 Israele ha rischiato davvero di scomparire sotto la minaccia, portata su più fronti, di eserciti regolari, il 7 ottobre, nonostante la sua ineguagliata efferatezza e atrocità, non ha comportato una minaccia esistenziale alla vita dello Stato. Il corso della guerra ha mostrato l’incommensurabile asimmetria fra le forze in campo.In secondo luogo, non si è tenuto conto del quadro geopolitico dell’area che alla vigilia era segnata dalla traiettoria degli Accordi di Abramo con cui si stava compiendo un percorso, iniziato dal dopo guerra fredda, di consolidamento di un asse Israele-mondo sunnita inimmaginabile quarantuno anni fa. Sono elementi di cui Israele avrebbe dovuto tenere conto nella sua reazione, che, se assolutamente giustificata nella sua risposta militare, avrebbe dovuto essere circoscritta in obiettivi concreti concertati con gli USA e quei governi arabi che hanno dimostrato in ogni modo di voler proseguire la traiettoria interrotta del riconoscimento diplomatico. Non solo non si sono uniti a Hamas, lasciandola isolata nel suo assurdo piano in due tempi (attacco e mobilitazione obbligata dei governi arabi sulla base della pressione popolare interna), ma lo hanno detto apertis verbis in consessi internazionali: vogliamo mantenere la rotta del riconoscimento diplomatico di Israele, ma inserendo una road map chiara che porti alla creazione di uno Stato palestinese. Insomma, anche perdendo la guerra, Hamas sta riuscendo nel suo scopo, che poi è quello dell’Iran: disarcionare gli Accordi di Abramo e rifar sprofondare l’area mediorientale nel caos. Ecco a dove sta portando una strategia di guerra fine a se stessa che dimostra la sua impotenza nello spostare il limite sempre più in là. Finché non rimarrà che travalicarlo. Spiace vedere molti amici e amiche in Israele essere cascati in questo nuovo tranello di Netanyahu, l’apprendista stregone che evoca forze convinto di poterle governare. I sionisti hanno formato lo Stato; compito della generazione successiva è stato resistere al tentativo arabo di estirparlo. Compito di questa era tracciare la via perché fosse riconosciuto in una regione a cui avrebbe potuto dare un enorme contributo di progresso. Stiamo fallendo.Davide Assael