MEDIO ORIENTE – Israele di nuovo alla sbarra all’Aja

Per la terza volta in un mese, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja è chiamata a giudicare le azioni d’Israele. Non si tratta della doppia accusa di genocidio mossa dal Sudafrica, ma della richiesta palestinese di esaminare la legalità del controllo israeliano sulla Cisgiordania e su Gerusalemme Est. La discussione è iniziata oggi e durerà fino al 26 febbraio. Ai quindici giudici dell’Aia è stato chiesto un parere consultivo sulle “conseguenze legali” di quella che l’Autorità nazionale palestinese definisce una “continua violazione da parte di Israele del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, dalla sua prolungata occupazione, insediamento e annessione del territorio palestinese occupato dal 1967″.
Israele non riconosce l’autorità della Corte sulle questioni legate al conflitto israelo-palestinese, sottolinea il sito ynet. Per questo il governo di Benjamin Netanyahu ha deciso di non inviare una propria rappresentanza legale all’Aja. L’udienza odierna, dicono da Gerusalemme, è il frutto del tentativo palestinese di delegittimare Israele sul piano internazionale.
A differenza del caso del Sudafrica, “il parere della Corte sulla situazione in Giudea e Samaria non è vincolante per Israele, ma solo consultivo”, spiega l’emittente Kan. Alcuni esperti legali hanno però sottolineato ad Haaretz come un esito negativo potrebbe avere delle conseguenze concrete sullo stato ebraico. “Se, ad esempio, nel suo parere la Corte stabilisce che gli insediamenti in Cisgiordania costituiscono un crimine di guerra internazionale, alcuni paesi potrebbero smettere di vendere armi a Israele”, spiega al quotidiano Yuval Sasson, avvocato specializzato in diritto internazionale. Una disposizione simile, aggiunge Sasson, “è già stata ordinata di recente da un tribunale dei Paesi Bassi”. Inoltre, afferma l’avvocato, le sanzioni personali contro chi vive negli insediamenti “potrebbero essere intensificate”. ha A inizio febbraio gli Stati Uniti hanno sanzionato per la prima volta quattro israeliani, di cui tre residenti in Cisgiordania. Sono accusati da Washington di aver compiuto crimini contro i palestinesi. E iniziative simili, spiega Sasson, potrebbero diventare sempre più comuni se la Cig condannerà Israele.
La Corte ha convocato per sei giorni udienze a cui parteciperanno una cinquantina tra paesi e organizzazioni filo-palestinesi. L’obiettivo è sostenere che Israele ha violato il divieto di occupare territori e annesso le diverse aree della Cisgiordania. A differenza dell’annessione, spiega il sito Davar, l’occupazione è definita nel diritto internazionale come una misura legale purché sia temporanea, la popolazione sia protetta e il suo scopo sia soddisfare una necessità militare. “Se la Corte dovesse stabilire che Israele non controlla legalmente il territorio, la comunità internazionale sarà tenuta ad adottare misure contro la politica israeliana nei territori”. Un’impostazione contestata da Gerusalemme, ma anche dall’Organizzazione internazionale degli avvocati e giuristi ebrei (Ijl), che ha lo status di organizzazione consultiva presso le Nazioni Unite. L’Ijl ha presentato un memorandum chiedendo ai giudici cautela nell’accettare di fornire un parere consultivo all’Onu. “Un cambiamento nella struttura giuridica esistente minerà gli accordi internazionali già raggiunti nel conflitto israelo-palestinese – avvertono gli esperti dell’Ijl – e pregiudicherà le possibilità di risolverlo nel quadro dei negoziati”.