NUOTO – L’israeliana Gorbenko
porta a casa argento e fischi antisportivi
La solidarietà della collega italiana

Israele non aveva mai vinto una medaglia ai Mondiali di nuoto. Ci è riuscito ieri a Doha con la 20enne Anastasia Gorbenko, seconda nei 400 misti dietro alla britannica Freya Colbert e davanti all’italiana Sara Franceschi. Il più importante assolo nella carriera di questa nuotatrice di talento nata ad Haifa nel 2003, che è stata in lizza ai Giochi olimpici di Tokyo del 2021 e si candida a un ruolo da protagonista a quelli di Parigi della prossima estate. La gioia di Gorbenko per la medaglia d’argento è stata però rovinata dai fischi e i “buu” antisraeliani del pubblico. Lei non si è scomposta più di tanto: “Sono felicissima di essere qui e rappresentare il mio paese in un momento così difficile. Essere qui con la bandiera di Israele significa molto per me e per il mio paese”. Ma certo non le è dispiaciuto l’abbraccio della collega di vasca Franceschi, che per prima le ha espresso vicinanza e solidarietà.
Il caso Gorbenko è destinato a riaprire un dibattito sull’opportunità che competizioni sportive di questo tenore si tengano in paesi come il Qatar, che da tempo sostiene e foraggia il terrorismo islamico e dove un sentimento anti-israeliano è tangibile anche negli stadi, in spregio a ogni senso di ospitalità e sportività. Alla vigilia del Mondiale il Movimento Bds aveva cercato addirittura di impedire la partecipazione di atleti israeliani al torneo, sostenendo che “mentre prosegue il genocidio dei palestinesi a Gaza, il nemico nuota a Doha”. Il Bds ci aveva già provato nel maggio dello scorso anno, quando a Doha si era svolto il campionato mondiale di judo. Dispiacendosi poi per l’esecuzione dell’Hatikwah, l’inno dello Stato ebraico, dopo la vittoria conseguita sul tatami dalla judoka Inbar Lanir. E ancora nel febbraio del 2022, quando agli ATP Qatar Open era sceso in campo il tennista israeliano Jonathan Erlich.
L’inopportunità di “sdoganare” il Qatar attraverso lo sport era già sollevata da autorevoli ma non troppo numerose voci, quando il paese arabo rifugio da anni della dirigenza di Hamas aveva ospitato nel 2022 i Mondiali di calcio. Il mondo ebraico era stato in prima linea nella denuncia. “Why Jews (and everyone else) should boycott the World Cup this year” fu l’appello rivolto ai propri lettori dal The Forward, storica pubblicazione ebraica americana, che invitava a non sintonizzarsi su quelle frequenze “se tieni ai diritti umani e hai presente il disprezzo mortale manifestato verso i lavoratori edili, se ti preoccupano la normalizzazione dei rapporti con l’Iran e il riconoscimento internazionale di Israele, se ti inquietano il denaro che perverte le istituzioni globali e una versione della Sharia che opprime le donne, mette al bando i simboli ebraici e nega qualsiasi diritto alle persone LGBTQ+”. Sulla stessa lunghezza d’onda era intervenuto il rabbino ortodosso Shmuley Boteach, che aveva definito il Qatar “il principale sponsor di Hamas”. Alcune migliaia di tifosi israeliani avevano comunque seguito il Mondiale grazie a dei voli speciali che avevano collegato gli aeroporti di Tel Aviv e Doha. Dal ministero degli Affari Esteri israeliano era arrivata in precedenza la richiesta di non “esporsi” troppo in pubblico, per paura di attacchi e violenze.