RUSSIA – Sharansky: In prigione si può essere liberi, Navalny lo ha dimostrato
“Caro Aleksej, ho provato una sorta di shock nel ricevere la tua lettera. Il pensiero stesso che provenga direttamente da uno shizo (cella di isolamento punitivo), dove hai già scontato 128 giorni, mi emoziona come si emozionerebbe un vecchio ricevendo una lettera dalla sua ‘alma mater’, l’università dove ha trascorso molti anni della sua giovinezza”. Esordiva così Natan Sharansky, rispondendo lo scorso 3 aprile ad Aleksej Navalny. Un misto di ironia, ammirazione e affetto tra due uomini che hanno fatto della dissidenza al regime di Mosca la propria ragione di vita. Sharansky negli anni Novanta, in opposizione alla dittatura sovietica. Navalny oggi, per opporsi alla Russia di Vladimir Putin. L’esperienza del primo, ricostruita nell’autobiografia Fear no evil, è stata di grande sostegno per il secondo. “Il tuo libro infonde speranza perché la similitudine tra i due sistemi – scriveva Navalny in una lettera a Sharansky del 30 marzo 2023 – assicura un crollo ugualmente inevitabile”. Da quel primo ringraziamento è nato uno scambio a distanza: quattro lettere pubblicate integralmente dal sito The Free press come tributo a Navalny, dopo la sua morte in carcere in Russia.
Una morte commentata da Israele da Sharansky. “Aleksej Navalny era pericoloso per il tiranno russo (Putin) per due motivi. – spiega oggi a Pagine Ebraiche l’ex oppositore – ha fatto più di chiunque altro per esporre la natura della dittatura russa agli occhi di centinaia di milioni di persone e ha sfidato il sistema. Navalny ha dimostrato che è possibile rimanere uomini liberi fino all’ultimo respiro in prigione”.
Al giornale dell’ebraismo italiano l’ex dissidente, simbolo tra gli anni ’70 e ’80 della difesa dei diritti degli ebrei sovietici, aveva raccontato come nei nove anni di prigionia gli scacchi fossero diventati un’ancora di salvezza. “Avrò fatte a migliaia di partite nella mia testa. Mi hanno salvato dall’impazzire – spiegava – Soprattutto in quelle interminabili giornate di isolamento: oltre 400, passate al buio, al freddo e senza nessuno con cui parlare. Grazie agli scacchi la mia mente è rimasta allenata e salda. Sono stati la mia sopravvivenza intellettuale”. Anche l’ironia era stata una chiave per resistere. Ironia condivisa negli scambi con Navalny. “A giudicare da tutto il tempo trascorso in shizo, presto batterai tutti i miei record”, aveva scritto nella seconda lettera Sharansky, inviata il 17 aprile 2023. “Spero che tu non ci riesca”, aveva poi aggiunto.
Nella prima missiva, inviata da Gerusalemme, l’ex dissidente aveva fatto riferimento all’imminenza di Pesach, la festa che celebra la liberazione degli ebrei dall’Egitto. “Pesach è l’inizio della nostra libertà e della nostra storia come popolo. Questa sera, gli ebrei di tutto il mondo si siedono a tavola per la festa e leggono le parole: ‘Oggi siamo schiavi, domani persone libere. Oggi siamo qui, l’anno prossimo a Gerusalemme’. In questo giorno mi siedo alla cena della festa indossando una kippah fatta 40 anni fa con la mia pezza da piedi dal mio compagno di cella, un detenuto ucraino della prigione di Chistopol. – ricordava Sharansky – Ecco quanto è contorto tutto in questo mondo! Auguro a te, Aleksei, e a tutta la Russia, il più presto possibile l’esodo”.
(Nell’immagine, la manifestazione in memoria di Navalny a Roma – Foto del Comune di Roma)