ISRAELE – Gantz negli Usa criticato da Harris L’accordo con Hamas non c’è e Washington chiede più aiuti per Gaza
L’Egitto parla di progressi nei negoziati tra Hamas e Israele per la liberazione degli ostaggi in cambio di una tregua a Gaza. I terroristi palestinesi negano i passi avanti, mentre Gerusalemme si aspetta una lista che elenchi i rapiti in vita. Nella capitale israeliana nel frattempo sfilano le famiglie dei 134 ostaggi ancora imprigionati (31 si ritiene siano deceduti) e chiedono al governo di Benjamin Netanyahu di non abbandonarli. Da 150 giorni aspettano di riabbracciarli o, per lo meno, di dare loro degna sepoltura. “Possiamo solo immaginare cosa significhi essere madre, padre, sorella o fratello di un ostaggio. E cosa significhino 150 giorni passati in questo stato di attesa. Non si tratta solo dell’angoscia, ma anche dell’impatto sulla salute fisica e mentale di queste persone”, ha spiegato Hagai Levin in una riunione con i parlamentari della Knesset. A Levin è affidata la cura medica di molte delle famiglie dei rapiti. “Anche loro sono allo stremo”, ha spiegato.
Una tensione costante lungo la quale si rincorrono le parole della diplomazia internazionale. Il presidente Usa Joe Biden aveva illuso parlando di un possibile accordo entro oggi. L’intesa non c’è stata, ma da Washington sono arrivate dichiarazioni perentorie per un cessate il fuoco. A pronunciarle, la vicepresidente Kamala Harris, impegnata in queste ore in un vertice con il ministro israeliano Benny Gantz. L’ex capo delle forze armate israeliane è arrivato negli Stati Uniti per ribadire la posizione di Gerusalemme: senza rilascio degli ostaggi, non ci saranno tregue. Anzi, entro l’inizio del Ramadan (10 marzo) Tsahal potrebbe entrare nell’ultima città di Gaza non ancora coinvolta nel conflitto: Rafah. Il viaggio del ministro, in grande ascesa nei sondaggi, non è stato apprezzato da Netanyahu. Il suo entourage sostiene che l’ex generale abbia scavalcato il premier e stia cercando di guadagnare consensi elettorali per il futuro. Gantz smentisce, mentre dall’America la sua priorità è contenere le critiche dell’amministrazione Biden. La vicepresidente Harris ha sostenuto che Israele non ha fatto abbastanza per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari nell’enclave.
E in queste ore l’inquilino della Casa Bianca ha rincarato la dose: “Oltre all’espansione delle consegne di aiuti da parte degli Stati Uniti per via aerea, terrestre e marittima, stiamo continuando a spingere per avere più camion e rotte per far arrivare più aiuti alle persone. Non ci sono scuse”, ha dichiarato Biden. “Gli aiuti che arrivano a Gaza non sono neanche lontanamente sufficienti e non sono neppure abbastanza veloci”.
La pressione Usa si fa quindi di giorno in giorno sempre più forte su Gerusalemme. Allo stesso tempo gli americani sono coinvolti su un altro fronte centrale per Israele. Lo scontro al nord con il Libano. Il diplomatico Usa Amos Hochstein oggi a Beirut ha incontrato funzionari libanesi per cercare di attenuare il conflitto a bassa intensità al confine meridionale del paese dei Cedri. Da qui Hezbollah continua ad attaccare civili e soldati israeliani. L’ultimo a farne spese in queste ore, un lavoratore straniero impiegato nel Moshav Margaliot, l’Alta Galilea, ucciso da un missile anticarro dei terroristi libanesi. Sette altre persone sono rimaste ferite e ogni tentativo di far cessare gli scontri appare complicato da raggiungere.