LA SPIGOLATURA – Roberto Jona: anno sabbatico precetto sempreverde
Nella parashà di Behar Sinai (sul Monte Sinai) il primo comandamento che viene impartito è quello di lasciare la terra incolta ogni sette anni. Il Signore rassicura Mosè che ci sarà comunque prodotto sufficiente per sopravvivere. È un comandamento strano, che è stato poco seguito. Probabilmente perché, con l’allontanamento della popolazione dalle campagne, l’osservanza o meno del comandamento è apparsa sempre meno rilevante nella società completamente urbanizzata. L’unica classe sociale che ha preso il comandamento alla lettera sono stati i professori universitari che hanno diffuso l’uso di prendere “l’anno sabbatico” e andare a fare studi e ricerche altrove (solitamente all’estero) mantenendo lo stipendio dell’università di appartenenza. Non credo fosse l’intento del Signore, né Mosè (malgrado le Sue doti profetiche) deve aver previsto l’uso così particolare del comandamento trasmesso agli Ebrei sul Monte Sinai.
Si tratta comunque di un comandamento che appare strano agli occhi di un osservatore avvezzo all’agricoltura attuale. Tuttavia, se si consulta un trattato di agronomia, si trova l’indicazione di come eseguire il “maggese”. È una pratica oggi poco (o punto) seguita, dato il carattere intensivo dell’agricoltura moderna. Si tratta, però, di una pratica che storicamente non può essere dimenticata. Fino a metà dell’Ottocento il maggese veniva praticato lasciando incolta, a rotazione, una frazione del terreno che tuttavia veniva arato solitamente nel mese di maggio (da qui il nome), quando il suolo era già ricoperto da vegetazione spontanea, che però non aveva avuto ancora il tempo di depauperare il terreno. Questa pratica arricchiva il suolo di sostanze minerali, soprattutto di azoto, sebbene in quantità modeste e migliorava anche la disponibilità idrica, perché rompeva la capillarità del terreno non lavorato, creando uno strato di terra sminuzzata in copertura che impediva l’evaporazione dagli strati più profondi. Nella prima metà di quel secolo cominciarono ad essere sviluppati e diffusi i concimi chimici e la pratica del maggese perse gradatamente interesse nel mondo agricolo. La fertilità dei campi veniva elevata con abbondanti distribuzioni di concimi di origine industriale che, oltre ad esaltare la capacità produttiva del terreno, rallegravano le industrie chimiche per la ricchezza degli introiti che producevano. L’entusiasmo per la concimazione chimica crebbe così, sino ad eccedere la capacità del terreno, dal quale grandi quantità di sostanze venivano dilavate e convogliate verso i circostanti corsi d’acqua inquinandoli sempre più. Viceversa, sia il maggese, sia la non coltura prescritta per l’anno sabbatico venivano ricordate con aria di sufficienza, come pratiche superate dall’agricoltura “moderna”. Sono stati i movimenti ecologici e “bio”, correttamente preoccupati dall’inquinamento prodotto dalle perdite per dilavamento, a combattere la concimazione chimica, rendendo quindi possibile la rivalutazione dell’antica pratica della non coltura, una versione moderna dell’anno sabbatico. C’è poi stata la PAC (politica agraria comune) dell’Unione europea a rivalutare, in qualche modo, l’anno sabbatico. Già da molti anni l’Ue aiuta finanziariamente gli agricoltori perché il reddito ritraibile dai campi è inferiore ai livelli dei redditi medi dei lavoratori di altri settori dell’economia. L’abbandono totale delle attività agricole nel Vecchio continente avrebbe però potuto creare grossi guai all’ambiente. Era quindi utile che le attività agricole venissero mantenute. Inizialmente la Comunità europea provvedeva, a raccogliere i diversi prodotti con ammassi a prezzi sovvenzionati. Ma ci si rese presto conto che i costi erano insopportabili e la procedura inutilmente gravosa. Raccogliere enormi quantità di derrate aveva un costo doppio: in prima istanza per il prezzo (della sovvenzione), ovviamente maggiore di quello del mercato corrente e successivamente per il costo dell’immagazzinamento, in tutte le diverse sfaccettature del processo di conservazione. A fronte di queste difficoltà le Comunità Europee optarono per la semplice erogazione di un sussidio al coltivatore, eliminando i costi della conservazione in magazzino. Poiché però i mercati delle derrate agricole in Europa sono affetti da una sovrapproduzione, che deprime i prezzi, le Comunità Europee accompagnarono l’erogazione dei sussidi con l’obbligo del set aside che, traducendo letteralmente, è l’accantonamento di una porzione dei terreni coltivati, cioè la non coltura (obbligatoria) di una parte dei terreni delle aziende. Così facendo si diminuisce la quantità di derrate che arrivano sui mercati e si tiene automaticamente più elevato il prezzo dei prodotti che, seppur in quantità sufficiente per le necessità della popolazione europea, non costituiscono un eccesso produttivo che deprimerebbe il prezzo sul mercato. Si tratta quindi di una reinterpretazione moderna (e burocratica) dell’anno sabbatico, adottata per motivi diversi, che dimostrano, però, la polivalenza delle norme della Torà.
Roberto Jona, agronomo