DAI GIORNALI DI OGGI
Bokertov 8 marzo 2024

In occasione dell’8 marzo e delle manifestazioni organizzate in tutto il paese, la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni denuncia come “Legare la festa della donna alla causa di Gaza” significhi “dimenticare il 7 ottobre e scegliere di stare soltanto da una parte”. Parole pronunciate all’Ansa e riprese da diversi quotidiani oggi (tra gli altri, Corriere della Sera, Avvenire, Messaggero). In particolare Di Segni punta il dito sul movimento “Non una di meno” il cui corteo a Roma ha adottato slogan contro Israele e quindi “esclude le israeliane, le donne ebree, dimentica le donne stuprate, uccise, deturpate il 7 ottobre”.

Riguardo le violenze dei terroristi palestinesi, il Giornale ricorda come a documentarli di recente, dopo un lungo silenzio, siano state anche le Nazioni Unite attraverso un report dell’inviata speciale per le violenze sessuali nei conflitti, Parmila Patten. “Hamas, gli stupri e i corpi mutilati. Questo 8 marzo per non scordare le donne d’Israele”, titola il quotidiano in prima pagina. Si fa notare anche la prima pagina de La Stampa con la foto di sette ragazze, di cui una ha dipinte sul volto tre Stelle di Davide in azzurro, un’altra una bandiera palestinese a forma di mappa in cui è compreso lo Stato d’Israele.

Di 8 marzo e diritti delle donne scrivono le senatrici a vita Liliana Segre ed Elena Cattaneo sul Corriere della Sera, ripercorrendo alcuni passaggi e figure fondamentali dell’emancipazione femminile nel dopoguerra italiano. Segre e Cattaneo concludono ricordando alle donne l’importanza del voto, diritto conquistato nel 1946. “ Con quale amnesia, o con quale leggerezza, possiamo pensare oggi che disertare le urne, astenerci dalla vita pubblica e politica possa essere una scelta accettabile per noi stesse, i nostri figli, il futuro del Paese? Il nostro invito per questo 8 marzo, e per ogni altro a venire, è alla partecipazione”.

Il presidente Usa Joe Biden sta aumentando l’impegno americano sul fronte umanitario a Gaza, racconta La Stampa, e ha annunciato la costruzione di un molo al largo di Gaza, con l’obiettivo di portare più cibo e farmaci con le navi. La possibile tregua con l’inizio del Ramadan (domenica) è lontana e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu insiste sulla necessità di entrare a Rafah alla ricerca degli ostaggi e dei capi di Hamas.

Repubblica ospita un’ampia riflessione dello scrittore israeliano David Grossman secondo cui in Israele il “trauma del 7 ottobre si aggrava ogni giorno di più”. A quasi cinque mesi dal massacro, “l’angoscia, lo shock, la rabbia, il dolore, l’umiliazione, la sete di vendetta, le energie mentali di un’intera nazione ancora confluiscono lì, verso la ferita, verso l’abisso in cui stiamo cadendo”. Per Grossman in ogni caso “alla fine di questa guerra dovremo pensare ai due Stati come unica soluzione fattibile”. Sulle stesse pagine l’intellettuale francese Bernard-Henri Lévy scrive che per mettere fine alla guerra basterebbe che Hamas facesse “due cose semplicissime: Liberare la totalità degli ostaggi israeliani ancora in vita; e deporre le armi riconoscendo, in un modo o nell’altro, la propria sconfitta”.

Commentando positivamente sul Corriere della Sera un recente appello per la pace a Gaza – firmato tra gli altri da Giuliano Amato, Luciano Violante, Piero Fassino – Maurizio Carprara parla della necessità che tutti gli schieramenti “nel chiedere una pace giusta” si impegnino a consolidare “i legami con lo Stato ebraico in sé più che con l’una o l’altra famiglia politica”.

Sui quotidiani si parla del ritiro da parte d’Israele della nomina di Benny Kashriel come prossimo ambasciatore a Roma “dopo il rifiuto italiano”. Rifiuto indicato per il passato di Kashriel: “sindaco di una città oltre la Linea Verde ed in passato è stato capo dello Yesha”. Per il Corriere della Sera “la vicenda è significativa perché il governo Meloni è uno degli alleati più vicini ad Israele in Europa, ma in questo caso l’indicazione di una figura controversa è stata giudicata negativamente dall’Italia ben prima del 7 ottobre, il giorno dell’inizio della guerra”. Il Corriere scrive che “anche la Comunità ebraica italiana aveva espresso delle perplessità”.

Ignoranti, odiano pure Golda Meir”, ma “non sanno neanche che era una statista laburista”, afferma a Libero Elisabetta Fiorito, giornalista e autrice di “Golda” (Giuntina). Il riferimento è al gruppo di manifestanti propalestinesi che a Firenze ha provato ad interrompere la presentazione del suo libro.