ISRAELE – All’agricoltura servono nuove braccia e più robotica
“Non ci sono sistemi per lavorare i campi a distanza”, spiega a Pagine Ebraiche Susan Lurie, del Volcani Center, il centro di ricerca e sviluppo in campo agricolo d’Israele. Le tecnologie ideate al Volcani possono aiutare i coltivatori, ma non sostituiscono la manodopera necessaria per raccogliere i prodotti della terra. “Dopo il 7 ottobre circa due terzi dei lavoratori thailandesi sono stati rimpatriati dal loro governo”, osserva l’esperta. Con la loro partenza, moltissime aziende agricole nell’area di Gaza ma anche nel nord e nel centro d’Israele sono rimaste senza forza lavoro. Un’assenza sopperita “da un grande afflusso di volontari da tutto il paese per aiutare nella raccolta. Durante le settimane di chiusura delle scuole, migliaia di studenti si sono messi a disposizione. Molti datori di lavoro hanno permesso ai propri dipendenti di prendersi un giorno di volontariato alla settimana senza che fosse conteggiato nelle ferie”. Al Volcani Center, racconta Lurie, ci si è organizzati con autobus per portare i volontari nei kibbutz o nei moshav (villaggi agricoli). “Il moshav in cui vivo, vicino ad Ashdod, ha chiesto per esempio aiuto per la raccolta di avocado, cachi e verdure”. In generale, afferma Lurie, esperta dei processi di conservazione della frutta, a causa della guerra la situazione dell’agricoltura israeliana “non è buona, ma poteva essere peggio”. Per quanto riguarda la salute dei frutteti, suo campo di studio, “una volta terminato il raccolto non c’è alcun problema ad aspettare la primavera per prendersene cura, sperando che per allora la guerra sia finita”. Dopo insalata, pomodori e altri ortaggi, a fine anno avocado e agrumi sono diventate le colture per cui era richiesta manodopera. “Entrambi i frutti possono essere conservati sugli alberi per un certo periodo di tempo: l’importante è permettere alle comunità del nord di tornare ai raccolti in modo che non vadano completamente persi”.
Nelle settimane subito successive al pogrom il Volcani Center ha lanciato una raccolta fondi per aiutare le tante comunità agricole colpite: “ReGrow Israel”, il nome della campagna. Il nodo rimane la manodopera. Non solo thailandese, ma anche palestinese: prima dello scoppio della guerra, circa 8.500 braccianti dalla Cisgiordania avevano un permesso per lavorare nel settore agricolo in Israele. Dopo il 7 ottobre, per motivi di sicurezza, questo flusso è stato sospeso. “La soluzione è semplice. Se lo Stato apre all’arrivo di lavoratori dall’estero, allora possiamo tornare a lavorare normalmente”, ha dichiarato a ynet, Guy Tal, agricoltore dell’area di Ashdod. Per il futuro, conclude Lurie, servirà continuare a investire “sulla robotica e sui sistemi automatizzati per diminuire il ricorso al lavoro umano”. Il problema è “sviluppare sistemi poco costosi e sostenibili per gli agricoltori. Questo sarebbe di grande aiuto”.