DOPO IL 7 OTTOBRE – Israele: quando il trauma è un fenomeno di massa

Non riuscire più a “funzionare” normalmente, non essere in grado di lavorare, arrivare a perdere tutto, e alla domanda più semplice, “Dove vivi?”, arrivare a rispondere “Non vivo, non sto vivendo”.

È con la storia di una sopravvissuta al massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre che Hillel Kuttler apre un articolo, uscito sul Tablet l’11 marzo, in cui racconta “Lo tsunami della salute mentale in Israele”. Ora la cinquantaquattrenne Mor Peretz, che come conseguenza indiretta del trauma ha dovuto rinunciare anche al suo appartamento e si è trasferita da un’amica, sta lentamente recuperando grazie al lavoro che porta avanti con il servizio psicologico del Lev Hasharon Mental Health Center, ma non è l’unica israeliana che sta lottando con le conseguenze di un’operazione  terrorista che ha portato all’assassinio di più di 1.200 persone e al rapimento di 250.

Per Inbal Brenner, psichiatra nello stesso istituto che sta aiutando Peretz, “stiamo affrontando un vero e proprio tsunami: c’è stato un enorme aumento della richiesta di aiuto mentre tutto il sistema che si occupa della salute mentale è stato trascurato per molti anni”.

La rivista medica medRxiv ha publicato a fine febbraio uno studio statistico in cui si prevede che il 5,3 per cento degli israeliani (più di 520 mila persone) svilupperà un disturbo da stress post-traumatico legato al 7 ottobre e alla guerra in corso. Intanto le principali organizzazioni israeliane per la salute mentale hanno già segnalato un record di richieste di sonniferi e tranquillanti.

Il 6 marzo l’ospedale Ichilov, a Tel Aviv, ha aperto un dipartimento dedicato al trattamento dei traumi e del disturbo da stress post-traumatico, aperto a civili e militari. Il presidente israeliano Isaac Herzog alla cerimonia di inaugurazione ha affermato di avere ben chiaro come il sistema sanitario debba trovarsi ora in cima alle priorità in vista del lungo periodo di recupero e riabilitazione necessario in seguito al trauma terribile che ha colpito la nazione.

Anche su eClinicalMedicine, uno studio ha mostrato come il massacro abbia avuto “un impatto ampio e significativo sulla salute mentale della popolazione israeliana”. Non solo dei sopravvissuti, o di coloro che in qualche modo hanno avuto a che fare direttamente con il massacro. E, sottolinea la ricerca, è necessario organizzarsi rapidamente per valutare e gestire l’emergenza. Già da sei settimane prima del 7 ottobre lo studio stava seguendo 710 adulti per valutarne lo stress dovuto alla complessità della situazione del paese in seguito alla riforma giudiziaria. I ricercatori hanno deciso di portare avanti lo studio con gli stessi rispondenti nel periodo successivo per analizzare il mutato contesto. I disordini da stress post traumatico sono raddoppiati, ansia e depressione sono aumentate rispettivamente del 18 e del 13,5 per cento. Trenta partecipanti hanno avuto esperienza diretta del massacro, 131 hanno familiari o amici che sono stati uccisi, rapiti o feriti.

Non è chiaro ancora se e quanto in Israele il tasso di suicidî sia aumentato, riferisce Yossi Levi-Belz, co autore dello studio, docente di psicologia e responsabile del dipartimento di studi su suicidio e salute mentale del Ruppin Academic Center, ma il 38 per cento dei rispondenti ci ha pensato. Pesano la paura che un massacro simile possa ripetersi, in un paese così piccolo, e anche la sensazione di tradimento da parte del sistema politico e militare, che avrebbe dovuto proteggere i cittadini.

Quella parte del sistema sanitario che si occupa di salute mentale prima del sette ottobre era sull’orlo del collasso. A un immediato aumento dei finanziamenti – nel budget 2024/25, che non è ancora stato votato, sono previste cifre importanti – corrisponde un ripensamento generale, e lo psichiatra Gilad Bodenheimer, direttore del servizio di salute mentale del ministero, ha ipotizzato di raddoppiare il personale, espandere i servizi aperti al pubblico su tutto il territorio, incrementando sia il numero che lo stipendio di psicologi, psichiatri e delle varie figure del sostegno, dalla terapia occupazionale all’arte terapia. “Va anche considerato che un evento del genere riporta in superficie anche la sofferenza di chi ha subito in passato traumi simili”. Un problema che tocca anche i testimoni, i soccorritori, dai poliziotti ai paramedici; da coloro che hanno dovuto recuperare frammenti di corpi a chi ancora sta cercando di ricomporli, e chiunque in qualche modo sia stato coinvolto. O che conosca qualcuno che è stato coinvolto.

In pratica tutta la popolazione.