Speccher: Germania ieri, Italia oggi, un rapporto ambiguo con il passato
Ogni 27 gennaio ci interroghiamo su come l’Italia abbia rielaborato o stia rielaborando la memoria del fascismo, della distruzione dei diritti civili, delle leggi razziali, delle persecuzioni al tempo. Con l’occasione vale la pena volgere lo sguardo più a nord e confrontarsi con il più grande paese d’Europa. Per fare il punto e tracciare un paragone sull’asse Roma-Berlino abbiamo parlato con Tommaso Speccher. Speccher, che ha un dottorato in Filosofia alla Freie Universität di Berlino e ha lavorato come libero docente presso le università di Verona, Berlino e Friburgo, è l’autore di La Germania sì che ha fatto i conti con il nazismo (Laterza 2022), un avvincente saggio che fa luce sul passato recente dei tedeschi fra oblio, amnistie e ammissioni di colpa. Speccher premette che in Germania la cultura della memoria ha una storia diversa da quella italiana passando da “oblio e repressione” nell’immediato Dopoguerra ed emergendo lentamente a partire dagli anni ‘60. “Ma il peso della Shoah e la rilevanza dei crimini compiuti dal nazifascismo hanno sempre condizionato la storia tedesca” sebbene, fino al 1989, in forma sorprendentemente più sopita che da noi. È dopo la caduta del Muro di Berlino che la Germania comincia a riconoscere e riconoscersi sempre più nei temi di una cultura memoriale, “anche se non concentrato in un giorno specifico”. La Shoah, in sostanza, è l’evento criminale che ha segnato la storia del XX secolo e la memoria collettiva in Germania. “E tuttavia la società cambia”, osserva Speccher. “Oggi degli 83 milioni di cittadini tedeschi, quasi cinque milioni sono musulmani, in gran parte di origine turca. Come raccontare la memoria della Shoah e farne qualcosa di condiviso anche per questi gruppi?”. Oggi la complessità sociale è aumentata e la cultura della Memoria è diventata “un processo continuo di adattamento, una battaglia che prende forme nuove di riconoscimento collettivo”. In Germania, la Shoah è diventata un paradigma per riflettere su diritti civili, di cittadinanza, di rapporti fra maggioranza e minoranze. Ma portare memoria di quel passato, osserva Speccher, “non vuol dire solo farsi impressionare dalla violenza esercitata dai nazisti 80 anni fa, ma capire come si è arrivati a quel punto per poi riflettere e interrogarsi sul mondo odierno”. La riflessione non riguarda dunque solo la Shoah, “che è riconosciuta da tutti: neppure [il partito sovranista] AfD la nega, semmai la banalizza, togliendole la dimensione politica. I sentimenti attorno alla Shoah sono dunque molteplici”.
Secondo Speccher fare i conti con il passato passa da tre aspetti: i processi, ossia l’accertamento della verità giudiziale; i dibattiti politici e la condivisione collettiva. La prima generazione post-bellica era impossibilitata a fare i conti col passato per la sua partecipazione diretta al regime. “Gli anni ‘50 sono quelli della ‘rinazificazione’ dello stato con percentuali altissime di rientro degli apparati nazisti”. “In Italia come in Germania”, spiega ncora Speccher, c’era bisogno di dirigenti e funzionari competenti e, “soprattutto in Germania, anticomunisti”. In tanti tornano nei ministeri, nei servizi, nei tribunali, nelle procure, nella polizia: è il caso, per esempio, di Hans Globke che aveva scritto le leggi razziali nel 1935 e che fra il 1953 e il 1963 è segretario di stato del cancelliere Konrad Adenauer. Ma in Italia non andò diversamente con figure come Gaetano Azzarriti: giurista, già presidente della Commissione sulla razza sotto il fascismo, diventa fra il 1957 e il 1961 presidente della Corte costituzionale, “il più alto foro di difesa dei principi dello stato”, sottolinea Speccher.
Negli anni ’60 emerge lentamente un’”altra Germania”, quella delle “madri e dei padri” della nuova repubblica, che diventano protagonisti, animando i primi grandi processi contro i responsabili del Terzo Reich. In quegli anni si sviluppa una coscienza civile segnata anche da fasi di violenza e scontri diretti fra gruppi militanti della RAF e lo stato nel nome di “una eliminazione dello stato fascista” Negli anni ‘80 arrivano il revisionismo e la banalizzazione, con il cancelliere Helmut Kohl che propone un memoriale di tutte le guerre, dove ebrei ed SS sono sullo steso piano”. Sarà la caduta del Muro a fare emergere la memoria come tema centrale, da condividere: tutti i grandi progetti memorialistici così evidenti nella Berlino odierna – il memoriale degli ebrei uccisi, la topografia del terrore, il museo ebraico – sono avviati in quel periodo anche se poi vedono la luce negli anni duemila. E in effetti si potrebbe sostenere che Germania e Italia abbiano vissuto un processo inverso rispetto al ruolo e il peso dell’antifascismo e della cultura memoriale come “ragione di Stato”. L’Italia postbellica nasce antifascista il che implica una netta cesura con la violazione delle libertà civili nel Ventennio. Il passato viene un po’ mistificato nel mito della Resistenza, ma prevalgono i principi di democrazia e de-fascistizzazione dello stato, anche se questa non è poi davvero avvenuta”.
Per le logiche della Guerra Fredda, l’antifascismo non gioca invece alcun ruolo nella neonata Repubblica federale. L’inversione avviene negli anni ’90. “Cade il Muro e si prendono le distanze dal passato nazionalsocialista: la Germania riunificata trova nella cultura della memoria e nel progetto antinazista un valore fondativo”.
Curiosamente, osserva ancora Speccher, in Italia in quegli anni avviene il contrario: “Con il berlusconismo si assiste a una semplificazione della narrativa, a una decostruzione del discorso memoriale”. Un processo lungo che ha sdoganato un’area politica prima tenuta ai margini. Speccher ricorda una recente uscita del presidente del Senato Ignazio La Russa: “La seconda carica dello Stato ha affermato che il battaglione delle SS di Bolzano oggetto dell’attentato di via Rasella era un gruppo di cantanti, sapendo esattamente quello che diceva; perché – aggiunge – quelli erano effettivamente dei poliziotti semplici”. Il che non rendeva le loro azioni meno gravi. “Una peculiarità della Shoah è che dal 1936 in poi tutte le forze di polizia, anche i vigili urbani, erano controllate direttamente dalle SS. Banalizzare questo rapporto significa banalizzare un elemento che contraddistingue la Shoah stessa – è un’involuzione del discorso memoriale”.
Daniel Mosseri