MILANO – Due ex ostaggi dal sindaco Sala: «Il nemico è Hamas»

Per Yelena Trufanova e Sapir Cohen, liberate il 29 e il 30 novembre, un messaggio deve arrivare chiaro a tutti: nel conflitto a Gaza c’è un unico nemico ed è Hamas. «Il gruppo terroristico è nemico degli israeliani quanto dei palestinesi». Cohen e Trufanova, ospiti in questi giorni a Milano, lo hanno ribadito anche al sindaco della città Beppe Sala in un incontro avuto a Palazzo Marino. «Sala è stato molto accogliente e sensibile. Ha sottolineato l’importanza di sentire in prima persona le testimonianze di Yelena e Sapir», racconta a Pagine Ebraiche rav Igal Hazan, direttore della scuola ebraica milanese del Merkos (il ramo educativo del movimento Chabad Lubavitch) presente all’incontro in Comune. È stato il Merkos a portare in Italia le due donne per dare voce al loro dolore e allo stesso tempo per esprimere vicinanza. Il 7 ottobre Yelena ha perso il marito Vitaly, ucciso nel kibbutz Nir Oz. Lei è stata rapita insieme alla madre Irena, al figlio Sasha e alla fidanzata Sapir Cohen. «Sono impegnate per la liberazione di Sasha e di tutti gli altri ostaggi. Nell’incontro con il sindaco, a cui ha partecipato il consigliere comunale Daniele Nahum, hanno raccontato l’orrore del 7 ottobre, i mesi di prigionia, le sofferenze». Yelena ha spiegato di essersi sempre impegnata per la pace e per la solidarietà. Di aver fatto da volontaria per accompagnare dal confine con Gaza i malati di cancro palestinesi in cura negli ospedali israeliani. «Parliamo di persone per cui il concetto di pace è parte integrante delle loro vite. E per questo hanno ribadito al sindaco che non è una questione di prendere le parti, ma di individuare il nemico in questa guerra: Hamas», aggiunge rav Hazan.
Trufanova e Cohen hanno avuto in questi giorni diversi momenti di confronto con la Comunità ebraica milanese. Dalla scuola del Merkos alla cena di beneficenza per la cucina sociale Beteavòn fino a un incontro nell’aula magna della Comunità in via Sally Mayer. «Sono state molto disponibili e hanno avuto una grande influenza, soprattutto sui ragazzi. Ha fatto molta impressione ad esempio la forza dimostrata da Sapir». Quanto i terroristi l’hanno trascinata a Gaza, una folla l’ha accolta festeggiando, cercando di toccarla, di picchiarla, lanciando contro di lei oggetti. La ventinovenne ha raccontato come la paura più grande fosse non sapere nulla del destino dei propri cari. Mentre era ostaggio, si è fatta forza per «aiutare una ragazza di 16 anni, terrorizzata e fragile. Avevo la responsabilità di sostenerla». Durante la prigionia si è riavvicinata alla fede e il suo pensiero ora è per Sasha, da 166 giorni detenuto a Gaza. Anche per Yelena il pensiero costante è per il figlio. «Mi hanno bruciato casa. Hanno ucciso mio marito. Ora prego perché il mio unico figlio torni sano e salvo e possa costruirsi una famiglia» con Sapir.