LA MOSTRA – Gli ebrei italiani e il ‘900 al Meis
Dario Disegni: Conoscenza antidoto al pregiudizio

Inizia con la conquista dei pieni diritti alla fine dell’Ottocento, passa dalle travagliate vicende del “secolo breve” e getta uno sguardo anche nel nuovo millennio il viaggio di “Ebrei nel Novecento italiano”, il quarto tassello dell’allestimento permanente del Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara (Meis). Curata da Vittorio Bo e Mario Toscano e incentrata su cento anni di storia, con l’attenzione rivolta in particolare a «le sfide di un’epoca, le lacerazioni, la rinascita e l’evoluzione del concetto di cittadinanza», la mostra si compone di sette sezioni ed è arricchita da opere d’arte contemporanea, fotografie da archivi pubblici e privati, documenti storici e oggetti di famiglia. Apre al pubblico venerdì 29 marzo.
In apertura di percorso una copia originale dello Statuto Albertino, a rappresentare l’ingresso in un’epoca di possibilità solo a tempo che il fascismo avrebbe tradito con le leggi razziste del 1938. Inevitabile anche in mostra un confronto con il dramma della Shoah e delle responsabilità italiane nel suo compimento, dall’iniziale persecuzione dei diritti a quella delle vite che ne fu la conseguenza. Anche di questo parla la mostra, valorizzando comunque l’apporto “vivo” del mondo ebraico anche post-Shoah, dalla faticosa ricostruzione post-bellica alle istanze e stimoli del presente.
«È una mostra che racconta molto e pone interrogativi e riflessioni. Occorre comprendere cosa abbia significato il Novecento per gli ebrei italiani, tenendo presente che la conoscenza resta l’antidoto più forte al pregiudizio», ha affermato il presidente del Meis Dario Disegni, presentando la mostra ai giornalisti con al fianco il direttore Amedeo Spagnoletto, i curatori Bo e Toscano e l’architetto Antonio Ravalli, curatore dell’allestimento. «Stiamo vivendo d’altronde tempi terribili, con una ripresa virulenta dell’antisemitismo», ha evidenziato Disegni. «Quella che vogliamo dare, tenuto conto anche di ciò, è una testimonianza di conoscenza e cultura».
Ebrei nel Novecento italiano «mira a fornire una visione ampia e articolata della condizione ebraica in Italia nel corso del XX secolo, nella consapevolezza della straordinaria ricchezza e della spaventosa drammaticità di questo periodo», sottolineano i curatori nel saggio introduttivo del catalogo associato alla mostra. In questo senso «la specifica vicenda italiana è radicata nella grande storia del secolo» e il criterio guida del racconto «è rappresentato dalle trasformazioni dei contenuti del concetto di cittadinanza nei passaggi tra regime liberale, dittatura fascista e repubblica democratica». Una impostazione che consente di focalizzare al tempo stesso «le scelte e le responsabilità dello Stato e della società civile nel corso di questo secolo» e le risposte fornite dalla minoranza ebraica, «che deve essere vista nelle sue sfaccettature e nella sua complessità».
Ebrei nel Novecento italiano ha al centro un lungo tavolo multimediale, al termine del quale una postazione video proietta a ciclo continuo riflessioni di autorevoli esponenti della società italiana sul significato di “cittadinanza”, partendo dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha concesso la medaglia del Quirinale alla mostra e che nel video spiega che cittadinanza è sinonimo di convivenza, invitando a tenere a mente che «la propria libertà, il proprio benessere, non è davvero pieno se anche gli altri non hanno adeguata libertà e adeguata condizione».
Cittadinanza vuol dire Costituzione, osserva la senatrice a vita Liliana Segre, ricordando che nel giro di un secolo, superando «l’onda tragica che da San Rossore ci scagliò contro i cancelli di Auschwitz», si è passati dall’articolo 24 dello Statuto Albertino «nel quale tutti i sudditi erano uguali davanti alla legge» alla «insuperabile formulazione dell’articolo 3 della Costituzione». L’articolo, cioè, «dell’eguaglianza nella forma e nella sostanza». E una garanzia «di futuro». Quel futuro di cui gli ebrei italiani ambiscono ad essere protagonisti. Nel corso della conferenza stampa Bo ha espresso l’auspicio che i giovani, visitando la mostra, «non sentano differenze, se non nelle differenze che ognuno porta di sé».