POLONIA – La scommessa è il cambiamento, anche dei vecchi stereotipi
Sollievo. È la sensazione più diffusa nella piccola comunità ebraica polacca dopo l’insediamento del nuovo governo a Varsavia. L’esecutivo guidato dal premier Donald Tusk, spiega a Pagine Ebraiche il rabbino capo di Polonia Michael Schudrich, è stato accolto positivamente «dalla stragrande maggioranza degli ebrei qui, preoccupati per l’erosione dello stato di diritto compiuto dal governo precedente». Con la nascita del governo Tusk seguita alla sconfitta dei conservatori clerico-nazionalisti di Diritto e Giustizia (PiS), «la Polonia ridiventa uno stato democratico e di diritto: un fatto fondamentale per tutti i cittadini, ma soprattutto per le minoranze», aggiunge Konstanty Gebert, analista politico, con un passato da dissidente del regime comunista polacco. «Il gabinetto Tusk ha dato prova di non tollerare l’antisemitismo. Per esempio, è intervenuto contro una casa editrice che pubblicava testi chiaramente antisemiti. Sotto il governo precedente sarebbe stato impensabile», sostiene Gebert. Diminuiranno, prevede l’analista, anche gli scontri sulla memoria storica. Il PiS – al potere per otto anni consecutivi e il partito che esprime il capo dello Stato Andrzej Duda – aveva fatto della riscrittura della storia un suo cavallo di battaglia. «Presentava i polacchi sempre come vittime. In particolare, durante la Seconda guerra mondiale», ricorda Stanislaw Krajewski, docente di Filosofia a Varsavia. I crimini commessi dai polacchi contro i propri concittadini ebrei venivano insabbiati. «C’era spazio solo per i giusti che avevano aiutato gli ebrei», sottolinea Krajewski. Nel 2022 come atto di protesta contro queste distorsioni, il filosofo si è dimesso dal Consiglio della Fondazione del Museo di Auschwitz. Con il cambio di maggioranza si dice invece ottimista. «Penso ci saranno meno ingerenze». Meno scontri ideologici, aggiunge Gebert, «anche se nei rapporti con Israele ci saranno differenze. Il PiS aveva posizioni più affini al Likud, non a caso il premier Benjamin Netanyahu ha firmato diversi accordi con il partito del presidente del PiS Jarosław Kaczyński». Per quanto riguarda i risarcimenti agli ebrei per le espropriazioni subite durante la Shoah non cambierà nulla. «Ormai è troppo tardi, si sarebbe dovuto fare negli anni ’90. Ora si sommano le rivendicazioni di tutti coloro che hanno subito torti», spiega Krajewski. Al riguardo anche il governo Tusk sembrava intenzionato a chiedere alla Germania risarcimenti per l’occupazione nazista. «Non accadrà», commenta netto Gebert. «Varsavia chiederà a Berlino di aiutarla in altri modi». Intanto anche in Polonia il 7 ottobre è stato un detonatore di odio antisraeliano e antisemita. «Molti membri della nostra comunità sono di sinistra e si sono sentiti traditi da chi, nella loro sfera politica, non ha espresso solidarietà dopo le stragi di Hamas, ma ha preso le parti dei palestinesi», afferma il rabbino capo. In prima fila nel contrastare la narrazione antisraeliana, il rav è impegnato nel sensibilizzare l’opinione pubblica sul destino degli ostaggi di Hamas (due di origine polacca). «Grazie al Comune di Varsavia, abbiamo affisso gratuitamente in spazi pubblici manifesti che chiedono la liberazione dei rapiti. E mi sto battendo affinché le femministe polacche, per molti versi dei modelli, condannino gli abusi sessuali compiuti da Hamas contro donne e uomini israeliani. Il loro silenzio è inaccettabile». D’altra parte, il rav aggiunge che diversi israeliani dopo il 7 ottobre hanno scelto la Polonia per allontanarsi dalla guerra. «Ci sono molti ambienti favorevoli a Israele per motivi storici e morali. A volte politici: si guarda allo stato ebraico come l’avanguardia da difendere dell’Europa in Medio Oriente”, sottolinea Gebert. Per un israeliano, conclude, «la Polonia è un posto migliore rispetto a tanti altre nazioni occidentali».
Questo nonostante un antisemitismo storico che continua a permeare la società polacca. «Siamo molto orgogliosi di essere ebrei e non ci nascondiamo», afferma rav Schudrich. Anzi, nel suo piccolo, la Comunità è stata molto pubblica nel dare una mano agli ucraini in fuga dal conflitto con la Russia. «Il giorno dopo l’aggressione di Mosca abbiamo creato un gruppo di gestione della crisi tra i diversi enti ebraici per aiutare i rifugiati ucraini. Per centinaia d’anni siamo stati noi ebrei polacchi la crisi. Ora la gestiamo. Abbiamo aiutato migliaia di persone, la maggior parte sono tornate in Ucraina. Siamo maturati come comunità e come singoli in questi due anni».
Meno ottimista è Gebert. «Nella situazione di emergenza ci uniamo. Ma questo non fa sparire i conflitti interni. Siamo in pochi e le divergenze di principio si trasformano subito in odi personali. E invece dovrebbe impegnarci insieme per investire sulla natalità». Oltre ai numeri, Krajewski aggiunge un’altra esigenza: «Trovare degli alleati. Siamo una minoranza e in Polonia come altrove ne abbiamo bisogno. Ma dopo il 7 ottobre mi chiedo chi siano. Per me un partner rimane la Chiesa cattolica, nonostante tutte le incomprensioni di questi mesi. Lo dico da vicepresidente del Consiglio del dialogo cattolico-ebraico».
Per rav Schudrich l’ottimismo è da cercare altrove. «Con una delegazione ebraica polacca siamo stati in visita di solidarietà in Israele. Mentre eravamo nel kibbutz di Be’eri, uno dei posti più colpiti dalle stragi, una giovane soldatessa si è avvicinata per dire a me e mia moglie in privato: ‘Vedo come vi sostenete a vicenda e vedo come vi amate. Voglio dirvi che siete per me una fonte di ispirazione’. Al di là dei complimenti, questa ragazza ha il compito di accompagnare le persone a Be’eri, raccontarne gli orrori, la disumanità, la barbarie. Nonostante questo, riesce comunque a vedere l’amore. Per questo è un segno di speranza per l’umanità e per il popolo ebraico».
Daniel Reichel