UNIVERSITÀ – L’Ateneo di Torino rispetti e faccia rispettare la legalità

I quotidiani sono pieni di cronache sulle proteste presentate agli organi universitari da esagitate frange studentesche in opposizione a collaborazioni scientifiche con Israele. L’estremismo e la mancanza di obiettività di questi mestatori non sono una novità, dunque non sorprendono. Ciò che invece preoccupa è la supina e acritica aderenza di quelle che sono – o quantomeno dovrebbero essere – le massime istanze delle cultura del paese. Che un Senato accademico si pieghi, senza alcuna riserva né pudore, alle “istanze” presentate da una folla vociante di studenti semplicemente in virtù del livello di clamore elevato dalla massa vociante, preoccupa per la tenuta democratica del paese. Gli studenti hanno una loro rappresentanza negli organi che governano l’Ateneo: se lo ritengono opportuno, presentino in quella sede e nei modi previsti le proprie istanze. Ma l’Ateneo, soprattutto nei suoi massimi organi di governo, eviti di prendere nota di quelle istanze soltanto a causa del livello sonoro con il quale sono presentate, soppesandone invece la validità. È una modalità non democratica: dispiace e soprattutto preoccupa che in un Paese civile, un ente che deve (oppure soltanto dovrebbe?) essere il massimo guardiano del sapere e quindi anche dei modi della legalità, prenda decisioni semplicemente sulla base della rumorosità della richiesta che viene dalla strada. E nella valutazione che esprime, l’Ateneo non può esimersi dal considerare – non ne abbiamo mai sentito alcun accenno – la barbarie di chi ha massacrato, mutilandoli con coltelli e pugnali, i bambini del kibbutz Re’im, kibbutz che peraltro sorge su un territorio assegnato ad Israele con deliberazione delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947 (ossia non nei territori “occupati”, o più correttamente contesi).

Roberto Jona
Professore in quiescenza dell’Ateneo di Torino