DAI GIORNALI DI OGGI
Bokertov 8 aprile 2024

A sei mesi esatti dalle stragi di Hamas del 7 ottobre, che hanno causato l’inizio della guerra a Gaza, Israele ritira l’ultima divisione dell’esercito che aveva nella parte Sud della Striscia. La notizia apre le prime pagine dei quotidiani. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito un punto: «Niente tregua senza il rilascio degli ostaggi». Repubblica e Giornale raccontano come Tsahal si stia preparando a un’operazione mirata a Rafah, nel sud di Gaza. La Stampa parla di un’ipotesi di tregua umanitaria domani con la fine del Ramadan.

«Che cosa è rimasto di Hamas?», titola il Corriere della Sera in prima pagina, analizzando i dati resi noti dall’esercito israeliano. «L’Idf sostiene di aver ucciso nella Striscia 13 mila combattenti, di cui una ventina responsabili di battaglioni e 89 comandanti di compagnia, più qualche dirigente politico o della sicurezza», scrive il Corriere, secondo cui 20 dei 24 battaglioni del gruppo terroristico sono «stati scompaginati, ma non sconfitti del tutto». Non si hanno invece notizie precise del leader di Hamas Yahya Sinwar, e del capo militare Mohammed Deif. È probabile che dirigano le operazioni «dai bunker nella zona meridionale».

Il ministro degli Esteri Israel Katz è a Roma insieme a una delegazione di familiari degli ostaggi. Katz ha incontrato ieri l’omologo Antonio Tajani, riportano i quotidiani. I due hanno parlato dell’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. Tajani ha presentato il progetto italiano “Food for Gaza” per aumentare l’arrivo di cibo nella Striscia «senza che finisca nelle mani di Hamas». «Serve l’autorizzazione e la disponibilità di Israele a far arrivare questi beni alimentari», ha dichiarato il ministro italiano. Autorizzazione, scrivono Giornale e Messaggero, arrivata ieri attraverso Katz.

Repubblica scrive del progetto dell’Iran di «una grande offensiva multipla con droni, missili e truppe» contro Israele, come risposta all’eliminazione di alcuni suoi uomini a Damasco. Se la ritorsione dovesse colpire il nord d’Israele, sfruttando l’alleato iraniano Hezbollah, sarà difficile evitare un conflitto aperto nel Libano meridionale, spiega il quotidiano.

Negli atenei italiani si annuncia una settimana di nuove manifestazioni contro Israele. Il 10 aprile, scade il bando Maeci per la cooperazione Italia-Israele e domani è previsto un presidio studentesco davanti alla Farnesina e uno sciopero universitario per invocare il boicottaggio dello stato ebraico. Secondo la Stampa, in una ventina di atenei italiani si terranno iniziative simili.

Il boicottaggio delle università israeliane è un danno per l’Italia, spiega su Repubblica Affari e Finanza l’economista Remy Cohen. «Le ricerche si sposteranno in altri Paesi e i nostri studiosi non potranno attingere alla fonte primaria. E ciò accresce il rischio di una fuga dei talenti», sottolinea l’economista.

Intervistata dal Fatto Quotidiano, la scrittrice Edith Bruck è molto critica verso il primo ministro Benjamin Netanyahu. Nel colloquio la sopravvissuta alla Shoah parla anche dell’accusa di genocidio mossa a Israele. «Il genocidio è un’altra cosa», ribadisce Bruck. «Quella di Gaza è l’esito di una terribile, abnorme risposta militare».

Su La Stampa Francesco Profumo ricorda un concerto organizzato quando era rettore del Politecnico di Torino nel 2008, nei giorni in cui Israele era ospite d’onore al Salone del Libro. Suonarono insieme «ebrei e palestinesi», scrive Profumo, come risposta alle mobilitazioni studentesche contro Israele.

«Non è una guerra religiosa. E convivere sulla stessa terra è ancora possibile». È la valutazione di Gabriele Segre su Domani in merito al conflitto tra israeliani e palestinesi. Segre cita il filosofo Yeshayau Leibowitz, e il poeta Mahmoud Darwish, secondo cui «si può legittimamente amare la stessa terra, senza che la storia che ci lega a ‘piante e prati’ venga ridotta solo a patria».

La casa d’aste Sotheby’s deve rivelare i nomi di venditore e compratore di un dipinto battuto all’asta nel 2019 di Giovanni Battista Tiepolo. A ordinarlo, la Corte Suprema di New York. Il dipinto è legato a una richiesta di restituzione. Sarebbe appartenuto a Otto Fröhlich, costretto a fuggire dall’Austria a causa delle persecuzioni antisemite, lasciando dietro di sé il quadro (Corriere della Sera).