ETICA – Maternità surrogata, l’Italia verso il reato universale ma in Israele si può
La maternità surrogata è uno dei classici temi che alcuni qualificano come «divisivi», attorno al quale visioni del mondo spesso distanti si confrontano e talvolta confliggono in modo irreversibile. Mentre in Italia il Parlamento discute sulla possibilità di renderla un reato universale, in Israele questa facoltà è concessa e disciplinata da apposite leggi. Tutto ciò avviene con rigidi paletti «per equilibrare l’anima sia ebraica che pluralistica dello Stato», spiega Enrica Martinelli, docente universitaria a Ferrara e autrice del libro “Procreazione e biotecnologie nel pensiero ebraico e nel sistema giuridico israeliano” edito da Giappichelli. L’autrice ne ha parlato di recente a Roma, durante un incontro del progetto “Tra Corpo e Spirito” promosso dall’Ospedale israelitico in collaborazione con il Centro di Cultura Ebraica della Comunità e il Pitigliani. Una ricerca, la sua, partita dal bisogno di capire perché l’ordinamento israeliano sia «più duttile, aperto e discorsivo» di tanti altri. C’è intanto un motivo di fondo da considerare. Israele è un paese «family-oriented», un paese dove «è forte l’impulso procreativo» anche in nuclei familiari non religiosi, Martinelli spiega a Pagine Ebraiche. La maternità surrogata diventa in quest’ottica una “extrema ratio” ammessa, pur contemperata con i limiti della Halakhah «nel segno di una struttura di pensiero ideologica-teologica che ha una sua significativa influenza». Non potrebbe essere altrimenti, «anche pensando alla forte partecipazione di partiti religiosi alla vita istituzionale, senza i quali non sarebbe stata raggiunta la maggioranza per approvare la normativa vigente». Si è così trovato un compromesso «che rispetta lo slancio procreativo e concretizza al tempo stesso la politica demografica dello Stato, rispettando tuttavia i principi halakhici per la trasmissione dell’identità ebraica». Martinelli illustra alcuni punti salienti della legge israeliana. L’unica maternità surrogata consentita «è quella gestazionale: la portatrice non può avere legami genetici con il feto che porta in grembo», precisa la studiosa. La portatrice «non deve poi avere legami di parentela con i genitori intenzionali» e deve essere ebrea «se la madre sociale è ebrea», mentre i genitori di intenzione «devono essere una coppia eterosessuale» e la donna nella cui famiglia crescerà il figlio «deve soffrire di infertilità invincibile» dopo essersi sottoposta a stringenti verifiche. È anche necessaria l’approvazione di un comitato di controllo nominato dal ministero della Salute, partendo da «una valutazione psico-attitudinale di tutte le parti coinvolte». In Israele è vietata la maternità surrogata altruistica o gratuita. E questo, sintetizza Martinelli, per tre motivi in particolare. Per evitare innanzitutto «che la portatrice sia parente dei genitori di intenzione», ma anche il rischio che gli accordi «sfuggano al controllo del comitato». E, infine, perché risponde a giustizia «il riconoscimento della disponibilità della portatrice, del rischio della sua salute, delle spese da sostenere e del mancato guadagno» durante la gravidanza. Per scrivere questo libro Martinelli ha compiuto una vera e propria immersione «nell’immensità del pensiero ebraico: lo sforzo meritava peraltro di essere fatto, anche per provare ad illuminare, con un fascio almeno di luce, la dottrina ebraica più aggiornata sul significato e sulla funzione sociale della procreazione», oltre che per coglierne «la robusta incidenza sulla legislazione israeliana contemporanea». Un sentiero complesso e affascinante: «Per iniziare un percorso di conoscenza del pensiero ebraico, qualunque sia il campo di indagine che ci si è prefissi, anche il più attuale o futuribile, non è certo sufficiente leggere la dottrina e la letteratura rabbinica più aggiornate», osserva. Da queste invero «si parte per un viaggio a ritroso, che si snoda in una concatenazione ininterrotta di interpretazioni delle fonti e di rinvio a precedenti, alla ricerca di una verità che non è mai dogmatica, assoluta, prevaricatrice».
Adam Smulevich