MEMORIA – Orsogna (CH) onora quattro ebrei trucidati nel 1944
Nell’autunno del 1943 Sigismondo Schiff, la moglie Stefania Weiss, la madre Giovanna Hofbauer ed Ester Welicka furono arrestati a Orsogna. In questo paesino abruzzese, una trentina di chilometri a sud di Chieti, i quattro erano stati confinati dalle autorità fasciste perché ebrei stranieri. Caduti in una retata, furono tutti assassinati l’11 gennaio del 1944, secondo quanto documenta la Fondazione Cdec di Milano. Di questa strage nazifascista sono a tutt’oggi ancora ignoti i responsabili.
Pochissime sono le informazioni sulle circostanze in cui accadde. Una vicenda tragica e sconosciuta su cui il Comune di Orsogna ha riportato in questi giorni i riflettori, conferendo alle quattro persone assassinate la cittadinanza onoraria alla memoria. “Furono vittime della Shoah, trucidate mentre tentavano di sfuggire alla barbarie nazista, poco dopo aver varcato i confini del territorio comunale di Orsogna, in contrada San Pietro l’11 gennaio 1944”, ha ricordato il sindaco di Orsogna, Ernesto Salerni. Poi all’unanimità i consiglieri hanno votato per il riconoscimento onorario.
La località di Orsogna fu individuata dal regime fascista come uno dei luoghi d’internamento civile degli ebrei stranieri. In 26, secondo la storica Anna Pizzuti, furono confinati qui, tra cui Schiff, la madre (originari di Vienna), la moglie Weiss e la signora Ester Welicka (nate entrambe a Fiume).
Tra chi passò per il piccolo comune abruzzese ci fu anche Bruno Laufer, classe 1937, nato a Vienna e di famiglia ebraica austriaca. «Arrivai in paese tra il 1941 e il 1942, con i miei genitori», ha raccontato Laufer in una cerimonia organizzata a Orsogna nel 2023. «Quando la situazione venne presa in mano dai nazisti, c’era il pericolo che qualcuno potesse denunciarci: per ogni ebreo segnalato, c’era un premio di cinquemila lire, una cifra enorme per l’epoca. Ma nessun orsognese ci denunciò». Secondo Laufer i cittadini si attivarono anche per evitare che i nazifascisti scoprissero la presenza di ebrei nel paese. «Ci salvarono nascondendo la nostra identità. Ci accolsero come se fossimo persone di famiglia, vivevamo accanto a loro. Tutti i giorni andavamo a fare il saluto fascista. Ci facevano il controllo dei nomi, non potevamo muoverci. Purtroppo un’altra famiglia ebrea fu in seguito scoperta e trucidata».