LA RIFLESSIONE – Rav Roberto della Rocca: Pesach e il 25 aprile

“Zeman cherutenu” (tempo della nostra libertà), è la denominazione rabbinica della festa di Pesach nella quale l’ebreo dovrebbe avviare un processo di liberazione. La libertà non è un valore assoluto che troviamo pronto e acquisito una volta per tutte. E la liberazione non è ancora libertà. Il popolo ebraico esce dall’Egitto, ma non può considerarsi libero fino a quando non raggiunge il Monte Sinai dopo cinquanta giorni per ricevere la Torah. Non c’è uomo libero se non colui che si occupa di Torah (Pirqe Avot, 6; 2). La strada che il popolo ebraico dovrà percorrere dall’Egitto alla Terra d’Israele è lunga e tortuosa, perché nei percorsi identitari, le scorciatoie possono rivelarsi controproducenti. Uscire dall’Egitto significa, cimentarsi nella costruzione di un’identità consapevole e matura, segnata da sacrifici e complessità, che non contempla vademecum a basso costo, precostituiti e conditi di etichette preconfenzionate.
Questo “tempo della nostra libertà” ci insegna che la liberazione non si realizza da un attimo all’altro. Il rinnovamento che accompagna la liberazione non può avvenire con un rovesciamento improvviso. Non basta urlare il nuovo perché il nuovo sia. Le rivoluzioni precipitose e poco autentiche rischiano di riproporre modelli di società che spesso ricalcano vecchi sistemi di potere e di oppressione che si volevano rovesciare.
Molte delle celebrazioni del 25 aprile si stanno trasformando sempre di più in una grande carnevalata in cui va in scena la pantomima della libertà nella quale non si riesce più a decifrare il senso del trucco universale.
Uno show dominato dalla confusione, dove non si discerne più il giusto dall’ingiusto, in cui prevale sempre più quell’atteggiamento provocatorio, che si trincera dietro a un vittimistico e piagnucoloso complesso di emarginazione. Una sfilata di carrozzoni accompagnati da slogan vuoti e rabbiosi, da proclami sensazionalistici e poco ragionati, sull’onda di una manipolazione mediatica, e strumentalizzati a ogni piè sospinto da opinionisti della peggior specie. Una carnevalesca mascherata, che di umano ha solo la parvenza, messa in scena in nome di un sedicente “pluralismo” – predicato molte volte a senso unico e proprio da chi con granitiche certezze esclude a priori tutto ciò che è “diverso” da sé – abusato come strumento volto a giustificare comportamenti irresponsabili che delegittimano quei valori sui quali la sopravvivenza di una società civile dovrebbe fondarsi. Un patetico spettacolo, in cui un gelatinoso e improprio miscuglio di storie e memorie diverse si trasforma in una forza disgregante, capace di aumentare tensioni e volontà di dominio, che non esitiamo a definire il vero “fascismo” di oggi.

Rav Roberto Della Rocca