L’OPINIONE – Emanuele Calò: Perché non si chiede «Lei è ebrea?»

Su Il Foglio del 26 aprile, Adriano Sofri scrive un pezzo dal titolo “Gentile Noemi Di Segni, due parole sull’affaire Giorgio Zanchini – Ester Mieli”, nel quale si disquisisce sulla domanda posta dal giornalista Rai Zanchini a Mieli «Lei è ebrea?» L’articolo – come del resto tutte le opinioni di Sofri- è originale e interessante. La testata sulla quale scrive, poi, è un gioiello del giornalismo italiano. La questione andrebbe letta alla luce del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) e del Codice Deontologico dei Giornalisti. Poiché i dati relativi alla fede professata sono assimilati, nel trattamento, anche a quelli riguardanti l’orientamento sessuale, non sarebbe un fuor d’opera ipotizzare che la domanda “scusi, «Lei è ebrea?» possa non differire di molto dalla domanda «scusi, Lei è omosessuale?» rivolta a un parlamentare.

Se Zanchini passasse per il Portico d’Ottavia, troverebbe dei ragazzi Chabad che domandano ai passanti se siano ebrei, nel qual caso propongono una preghiera. In ogni caso, si potrebbe pure domandare, ma i nodi dei rapporti con la privacy rimarrebbero irrisolti. Non sarebbe male, inoltre, che un uomo «molto bravo, intelligente e gentile» (Sofri dixit) come il giornalista Rai in questione, facesse qualche riflessione sulle trasformazioni che ha subito la parola “ebreo”, da “origine ebraica” (un eufemismo sul quale ho scritto) a “sionista” (un altro eufemismo alquanto scoperto) i quali eufemismi convergono, convogliati culturalmente dalla Scuola di Francoforte, nell’antisemitismo strutturale che connota la nostra società, che non aspettava altro che la guerra di Gaza per stapparsi come il leggendario tappo fanfaniano di Forattini.

Io sono per la libertà di parola e per il counter speech, e cerco pure di stare a tavola in modo decente (non saprei dire se ci riesco o meno) ma non arrivo fino al punto di ignorare, con un certo olismo ruspante, quanti significati si porti dietro la benedetta domanda. Zanchini, domandi pure, ma non si limiti più a citare i cugini ebrei, se non altro perché sul tema vi è una letteratura troppo vasta perché lei non la conosca e, in ogni caso, auguri per il suo impegno futuro: quello di approfondire l’argomento.

Emanuele Calò