DAI GIORNALI DI OGGI
Bokertov 9 maggio 2024

Gli Stati Uniti non manderanno altre armi a Israele se invaderà Rafah. Lo ha detto il presidente statunitense Joe Biden, intervistato dalla Cnn molto critica nei confronti del governo israeliano. «Netanyahu, la stretta Usa», titola la Stampa parlando delle pressioni americane contro l’operazione a Rafah e per proseguire le trattative per una tregua in cambio della liberazione degli ostaggi. Per il Giornale lo stop di Washington è un errore.

Le famiglie dei rapiti, racconta Repubblica, minacciano una rivolta se non ci sarà un accordo. A loro va il pensiero di Mia Schem e Noga Weiss, di cui la Stampa pubblica due ritratti. Le due giovani sono state liberate da Hamas nell’accordo siglato a fine novembre. «Giù nel tunnel mi sentivo come un animale allo zoo», ricorda Schem.

Per Nir Barkat non è possibile pensare a uno stato palestinese perché non c’è una controparte per farlo nascere. Il ministro dell’Economia israeliano, intervistato dal Corriere al termine della sua missione in Italia, afferma che con i palestinesi non c’è «una disputa territoriale», ma «una guerra di religione» E aggiunge: «Noi entreremo a Rafah casa per casa e sradicheremo Hamas. È l’unico modo per salvarci»

Nella soluzione a due stati crede Ami Ayalon, ex capo dello Shin Bet. Intervistato da Repubblica, Ayalon apre alla liberazione di Marwan Barghouti, detenuto in Israele con cinque ergastoli da scontare. «È l’unico che batte sempre Hamas. Crede nei Due Stati ed è un leader riconosciuto per la sua militanza» Per Ayalon inoltre una vittoria militare completa su Hamas è una chimera. «Potremo uccidere i loro leader, distruggere le loro armi, ma il giorno dopo due ragazzini prenderebbero un coltello e colpirebbero, ispirati da Hamas» Per questo, afferma, è necessario costruire per i palestinesi uno stato. Secondo May Pundak, direttrice di “A land for all” e figlia dell’architetto israeliano degli Accordi di Oslo, Ron Pundak, la soluzione sarebbe: «due Stati separati con, però, istituzioni congiunte su alcune questioni comuni, come la gestione delle risorse idriche, il commercio, l’ambiente e la sicurezza. Il riferimento è l’Unione Europea»

Il Foglio mette in ordine alcune informazioni sul conflitto in corso a Gaza in un approfondimento intitolato «Balle di guerra»: «Israele non ha lanciato l’offensiva totale contro Rafah e non si occuperà del valico con l’Egitto. Gli Stati Uniti non hanno smesso di sostenere Israele. Hamas non ha accettato la proposta di accordo. Gli ostaggi vivi sono più di trenta, secondo le informazioni di intelligence di Israele. Il “no” di Israele alle condizioni di Hamas non è una posizione di Netanyahu, ma di tutto il gabinetto di guerra, di cui fanno parte anche politici dell’opposizione».

Domani parla di una «soluzione Sinai per Gaza». In territorio egiziano, a 15 km dalla frontiera con la Striscia, dovrebbe essere edificata una nuova città, possibile polo d’attrazione per i palestinesi di Gaza in fuga dalle macerie della guerra. «A rafforzare il sospetto di una ‘soluzione Sinai’ concorre la nuova legge egiziana sul diritto di proprietà nei territori desertici, varata in febbraio», scrive Domani. «Modificando la legislazione precedente, autorizza gli stranieri a possedere terre o case nel Sinai, senza limiti a proprietà e investimenti. Se dunque le monarchie arabe volessero mettere i soldi in progetti urbanistici che non sono nelle possibilità del regime egiziano, indebitatissimo, ora potrebbero».

«Hamas sta perdendo a Gaza, ma vincendo nella sinistra occidentale, che ha sicuramente più simpatia per Hamas che per Israele», denuncia al Foglio Matti Friedman, giornalista e scrittore israelocanadese. «La sinistra ha abbandonato i suoi ideali delle società industriali per essere affascinata dalla violenza antioccidentale. Dov’è tutta la sua sensibilità per l’oppressione di gay, donne e minoranze?».

Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, ha convocato i rettori delle principali università del paese per affrontare l’«inaccettabile» aumento dell’antisemitismo negli atenei e sottolineare la «necessità che le università siano sicure per i nostri studenti ebrei». Il suo governo, spiega il Corriere, «sta elaborando le linee guida su come le università dovranno affrontare potenziali proteste antisemite».