DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 20 maggio 2024

«Da giudice spietato a leader politico: la corsa dell’uomo che mandò migliaia al patibolo». È la sintesi del Corriere della Sera della biografia di Ebrahim Raisi, il presidente iraniano, noto anche come il «macellaio di Teheran», morto ieri al confine tra Iran e Azerbaigian in un incidente in elicottero assieme a sette persone, tra cui il suo ministro degli Esteri, Hossein Amir Abdollahian. Quest’ultimo, racconta sempre il Corriere, ha proseguito la politica dell’ex generale Qasem Soleimani per espandere con la violenza l’influenza iraniana in Medio Oriente. In particolare, in chiave anti-Israele, finanziando il terrorismo di Hamas, Jihad islamica, Hezbollah.

La morte di Raisi e del suo ministro degli Esteri decapita il potere di Teheran – tra 50 giorni dovrebbero tenersi nuove elezioni –, anche se, ricorda Repubblica, a prendere le decisioni in Iran è sempre l’ayatollah Ali Khamenei. Sull’incidente, riportano Repubblica e Stampa, Israele ha scelto di non commentare. Al quotidiano Yedioth Ahronoth Gerusalemme ha chiarito che «Israele non ha nulla a che fare con l’incidente, non dovrebbe avere alcuna ricaduta per noi». Secondo l’esperto israeliano di Iran Beni Sabti, la morte di Raisi potrebbe nel breve periodo interrompere parte dei rifornimenti di armi a Hezbollah (La Stampa).

Stati Uniti e Arabia Saudita sarebbero a un passo da un accordo «che potrebbe cambiare il volto del Medio Oriente», scrivono Repubblica e Libero. Ma l’intesa è legata anche a un sì del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Tre i punti del piano, spiega Repubblica: «Primo, le garanzie di sicurezza offerte dagli Usa all’Arabia Saudita per proteggerla dall’Iran, sul modello di quanto fa con gli alleati Nato, sommate all’accesso alla tecnologia per sviluppare l’energia nucleare a scopi civili; secondo, la normalizzazione dei rapporti con Israele; terzo, la ripresa del processo per creare lo Stato palestinese». Washington avrebbe posto Netanyahu davanti a una scelta: «o fermare l’offensiva a Gaza, o quanto meno non procedere con l’attacco a Rafah, e aprire ai palestinesi, in cambio della normalizzazione con Riad; oppure rifiutare l’accordo, restando legato ai membri del suo governo che rifiutano la soluzione dei due Stati». L’intesa, aggiunge La Stampa, potrebbe concretizzarsi anche per la sola parte inerente a Usa e Arabia Saudita.

Netanyahu nel mentre deve fare i conti con l’ultimatum del ministro Benny Gantz che «ritirerà il sostegno al governo se le sue richieste sulla presentazione di un piano post-bellico per Gaza non saranno soddisfatte entro l’8 giugno», spiega il Giornale. L’ultradestra dei ministri Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich chiede la cacciata di Gantz, che i sondaggi elettorali danno stabilmente in testa. «Gantz ha iniziato una complicata operazione chirurgica: lasciare il governo, far convocare le elezioni e nel frattempo non perdere i 10 seggi che gli verrebbero dagli elettori delusi dal blocco di Netanyahu. Senza questi voti, sa di non poter diventare primo ministro», scrive su Yedioth Ahronoth Nadav Eyal, citato oggi da Repubblica.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ribadito ieri in un evento pubblico come l’unica soluzione sia quella dei due Stati, ha chiesto poi «un cessate il fuoco immediato e il rilascio dei rapiti» (Giornale).

«Gaza è una tragedia, le immagini che vediamo raccontano un luogo in cui non si può più vivere, quel che sappiamo – pur nella consapevolezza che in guerra nessuno è sincero – è spaventoso. E poi c’è l’antisemitismo, le piazze occidentali se la prendono con Netanyahu e hanno ragione ma se la prendono anche con gli ebrei in quanto tali e questo è molto diverso». Lo afferma Tatiana Bucci in un’intervista a La Stampa, in cui si ricorda la sua storia di sopravvissuta ad Auschwitz. L’intervista si apre con una domanda sul futuro dell’Italia. «Un po’ di paura ce l’ho. Spero che non torni il fascismo di una volta», afferma Bucci.

Sul Foglio Pierluigi Battista descrive in dieci punti il «catalogo degli “utili idioti” al servizio dei terroristi». Da chi nelle università rilancia lo slogan, ignorandone il significato, «From the river to the see», a chi sui giornali nega gli stupri di Hamas. Sul Giornale Carlo Panella, parlando del fondamentalismo di Hamas, sostiene che «la cultura islamica storicamente incarna il dogma del complotto antiebraico».

In prima pagina su La Stampa il filosofo Vito Mancuso, in un editoriale intitolato, «Perché solo la sapienza può portare alla pace» scrive: «A cosa possa portare il non-ascolto dell’altro lo manifesta nel modo più tragico il conflitto israelo-palestinese. Esso si è ormai così incancrenito che essere oggi per lo Stato palestinese significa volere la distruzione dello Stato di Israele e ritrovarsi con chi insulta la Brigata ebraica della Resistenza e con chi reprime la libertà delle donne e degli omosessuali; e viceversa stare dalla parte di Israele significa negare la terra ai palestinesi alimentando il progressivo furto di territorio da parte di quei signori di solito chiamati coloni».