DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 21 maggio 2024
Israele e Stati Uniti sono uniti nel contestare con durezza l’iniziativa del procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan, che ha chiesto al tribunale dell’Aia di spiccare mandati di arresto per crimini contro l’umanità sia contro i leader di Hamas sia contro il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant.
«Respingiamo con disgusto il paragone del procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan tra il democratico stato d’Israele e gli assassini di Hamas. Si tratta di una completa distorsione della realtà. Questo è esattamente il volto del nuovo antisemitismo», ha affermato Netanyahu. Tono simile, sottolinea tra gli altri Repubblica, per il presidente Joe Biden, che ha definito «oltraggioso» l’accostamento tra i terroristi palestinesi e Israele. Per gli americani, spiega il Corriere della Sera, la mossa di Khan è anche un danno «alle trattative in corso per il cessate il fuoco». A Washington, i repubblicani si muovono per imbastire possibili sanzioni contro la Corte Penale Internazionale.
Anche in Israele – da Benny Gantz, ministro del gabinetto di guerra, a Yair Lapid, capo dell’opposizione – la condanna per la richiesta del procuratore della Cpi è unanime, sottolinea Repubblica. Secondo la Stampa ci vorranno settimane, se non mesi, prima di una decisione della Cpi in merito ai mandati d’arresto. Nel mentre, aggiunge il Sole 24 Ore, il procuratore Khan potrebbe aggiungere nomi alla lista di chi vorrebbe processare, tra cui altri membri del governo di Gerusalemme e i generali di Tsahal.
Anche il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani contesta l’iniziativa dei magistrati dell’Aia. Intervistato dal Corriere, Tajani la definisce «del tutto inaccettabile». Nel colloquio il capo della Farnesina, che sabato dovrebbe incontrare il primo ministro palestinese Mohammad Mustafa a Roma, si dice favorevole «a inviare nostri soldati in una possibile missione Onu sotto il comando di un Paese arabo — come è stato proposto — per preparare il campo alla nascita di uno Stato palestinese. La nostra presenza potrebbe essere molto importante, perché siamo graditi sia agli israeliani sia ai palestinesi, come lo siamo per i serbi e gli albanesi in Kosovo». Tajani ribadisce il no italiano all’operazione a Rafah: «siamo per il cessate il fuoco immediato e per la possibilità di fornire aiuti umanitari e di salvaguardare le vite dei civili. Ma nello stesso tempo difendiamo il diritto di Israele a esistere».
«Mettere sullo stesso piano Netanyahu e Sinwar è un atto di puro antisemitismo. Per Hamas l’Occidente è il male da distruggere, Israele deve difendersi», scrive Fiamma Nirenstein sul Giornale. Per Giuliano Ferrara (Foglio), «la Corte penale internazionale non sa distinguere più tra vittime e assassini». «L’idea che tutte le guerre sono uguali, che difendersi equivale a attaccare, che la democrazia è comparabile al fanatismo teocratico dei predoni o ai regimi della morte e della Sharia, è una favola per idioti», scrive Ferrara. «Israele non ha combattuto e non combatte contro i palestinesi, contro i civili, ma contro Hamas». Sempre sul Foglio si ricorda come in passato tribunali di singoli paesi hanno spiccato mandati d’arresto contro alcuni leader israeliani, da Ariel Sharon a Tzipi Livni.
Sul Corriere della Sera Massimo Gaggi riflette sul tentativo Usa di lavorare al futuro di Gaza, coinvolgendo l’Arabia Saudita in un accordo di normalizzazione con Israele in cambio di un negoziato per uno stato palestinese. «Netanyahu può continuare con la linea dura, senza piani per il futuro di Gaza, forte anche del fatto che, dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre scorso, in Israele sono rimasti in pochi ad essere favorevoli alla creazione di uno Stato palestinese», scrive Gaggi secondo cui il premier israeliano «non può non essere consapevole che questo conflitto sta erodendo (o, addirittura, azzerando) il debito accumulato dal mondo nei confronti del popolo ebraico per secoli di persecuzioni e per la Shoah. E la Corte dell’Aia che lo mette sullo stesso piano dell’architetto della strage all’origine di questo conflitto, se nell’immediato suscita indignazione (compresa quella di Biden che dà, su questo, piena solidarietà a Bibi) rappresenta un altro tassello in questo processo di erosione dell’immagine di Israele nel mondo».
Si svolge oggi al Memoriale della Shoah di Milano, la nona Conferenza internazionale sull’antisemitismo per discutere dell’ondata di antisemitismo successiva all’attacco del 7 ottobre. Tra i partecipanti, Mina Abdelmalak, direttore dello United States Holocaust Memorial Museum, intervistato da Repubblica sul lavoro di raccontare la Shoah nel mondo arabo. «Alcuni dei nostri collaboratori stanno lavorando per preservare l’eredità ebraica dei loro paesi, come in Marocco o Tunisia; mentre negli Emirati Arabi Uniti e in Egitto sono invece interessati a come la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto hanno plasmato il diritto e le relazioni internazionali», spiega Abdelmalak. L’esperto parla di un significativo interesse in diversi paesi arabi per la Shoah, che non fa parte dei curriculum scolastici, e di come a riguardo vi sia molta ignoranza. Il 7 ottobre, aggiunge Abdelmalak, «purtroppo, ha prodotto a un aumento senza precedenti di paragoni e abusi della Shoah. I nostri collaboratori in alcuni paesi sono stati aggrediti pubblicamente. Ma noi continuiamo a sostenerli e a sostenere i loro sforzi».
«Il guaio dell’Iran non era il macellaio ma l’islamismo violento», scrive sul Foglio il direttore Claudio Cerasa, commentando la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi. Per Cerasa l’Occidente dovrebbe «liberare il popolo iraniano dai suoi oppressori islamisti» mettendo «sotto processo il maggiore sponsor statale del terrorismo a livello mondiale (curioso che la Corte penale internazionale emetta mandati di cattura per i leader di paesi democratici, come Israele, e non per i leader di paesi che esportano il terrorismo, come l’Iran)».