ANTISEMITISMO – Emergenza demonizzazione ebrei dopo il 7 ottobre
Forze diverse si sono unite dopo il 7 ottobre. Estrema sinistra, estrema destra, radicalismo islamico, sommate a una più banale e generalizzata ignoranza hanno prodotto un’ondata di odio antisemita tale da diventare «un’emergenza internazionale». Impossibile sottovalutare questo intreccio di pulsioni antiebraiche, a cui è necessario rispondere con azioni politiche, culturali ed educative. È l’avvertimento condiviso dai relatori della nona conferenza sull’antisemitismo organizzata al Memoriale della Shoah di Milano dalla Fondazione Cdec e dal Program on extremism della George Washington University.
Dalla situazione nel mondo arabo a quella degli atenei, nelle relazioni sono state evidenziati alcuni elementi comuni: la demonizzazione d’Israele e degli ebrei per giustificare la negazione – presentata con retoriche diverse – del loro stesso diritto a esistere. Lo ha sottolineato anche la senatrice a vita Liliana Segre, ultima intervenuta alla conferenza di ieri. Sopravvissuta ad Auschwitz, Segre ha espresso tutta l’amarezza e il pessimismo di doversi riunire per parlare ancora di emergenza antisemita. «A distanza di 80 anni dalla Shoah, devo trovarmi a dire cosa dobbiamo fare noi qui al Memoriale per rimediare a questa situazione in cui si paragona da 40 anni la croce uncinata con la stella di David?». «Non le trovo» le parole, ha spiegato Segre al direttore della Fondazione Cdec Gadi Luzzatto Voghera. «Sarebbero talmente devastanti e tragiche che non posso esprimerle». Però la senatrice a vita chiarisce con forza un punto, diventato uno dei propulsori dell’antisemitismo attuale. «Davanti alla constatazione che Israele viene ancora demonizzato e che quello che fa Israele viene definito “genocidio”, io rispondo che questa parola è davvero spaventosa. È un confronto che diventa una bestemmia». Una bestemmia con risvolti concreti e pericolosi, ha spiegato Stefano Gatti, ricercatore dell’Osservatorio antisemitismo del Cdec. L’accusa a Israele di compiere un genocidio, di agire come i nazisti, ha sottolineato il ricercatore, rappresenta uno scudo morale per gli antisemiti. Lo stato ebraico e con lui gli ebrei vengono disumanizzati «e così ci si sente legittimati ad esprimere liberamente il proprio odio». Succede nei movimenti propalestinesi degli atenei americani e britannici, ha sottolineato David Hirsh, docente di Sociologia presso l’Università Goldsmiths di Londra, accade nel mondo arabo, ha rilevato Omar Mohammed, ricercatore del Programma sull’Estremismo della George Washington University. Qui, come per il pregiudizio antiebraico di matrice cristiana, le radici sono antiche. «Da noi si usa lo stesso termine ebreo come spregiativo, come un insulto», ha spiegato Mohammed, originario di Mosul (in Iraq), dove è impegnato a preservare le tracce di una comunità ebraica ormai scomparsa. Lui e il collega egiziano Mina Abdelmalak sono impegnanti nel costruire anche nei paesi arabi una consapevolezza rispetto al significato della Shoah e al contrasto dell’antisemitismo. Il loro lavoro è diventato estremamente più difficile dopo il 7 ottobre, ammettono. Ma si è complicato anche nell’Occidente democratico nato dalle ceneri della Shoah, che dovrebbe aver assimilato il monito «Mai più», ha sottolineato la pedagogista Milena Santerini, vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano.
Per il contrasto dell’antisemitismo, alcuni strumenti ci sono, ha ricordato Dina Porat, docente emerita presso il Dipartimento di Storia ebraica dell’Università di Tel Aviv. «C’è ad esempio la definizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance, da applicare e ampliare»