LA RIFLESSIONE – Rav Alberto Moshe Somekh: Sul cantar vittoria
“Dal cielo hanno combattuto, le stelle dalle loro orbite” (Shofetim 5, 20). Non c’è dubbio che il S.B. interviene nelle umane vicende. Il Suo sostegno è degno di lode e ringraziamento, a dispetto di quei benpensanti che quasi provano vergogna ad ammettere la Verità, come se il concetto non fosse politically correct e la sua enunciazione si trovasse in contrasto con una certa laicità moderna, peraltro male interpretata. Ma gratitudine non significa ancora necessariamente gioia sbandierata.
Nel quarto capitolo dei Pirqè Avot che leggiamo a D. piacendo questa settimana è riportata la famosa massima di Shemuel ha-Qatan (n. 24) che raccomanda: “Non gioire quando il tuo nemico cade, affinché l’Eterno non se ne accorga, se ne dispiaccia e ritragga da lui la sua ira (per riversarla su di te)” (Mishlè 24, 17). Secondo un tardo Midrash questa sarebbe una delle ragioni per cui negli ultimi giorni di Pessach non si canta lo Hallel completo, in memoria degli Egiziani affogati nel Mar Rosso. D’altronde è scritto poc’anzi: “quando i malvagi vengono distrutti è giubilo” (Mishlè 11, 10). La Mishnah cita quest’ultimo versetto per incoraggiare i testimoni a deporre in una causa capitale, sebbene provocheranno la condanna e l’esecuzione dell’imputato (Sanhedrin 4, 5). Come conciliare le due fonti in contrasto fra loro?
R. Moshe Aryeh Leib Rosenbaum spiega che il divieto di gioire per la caduta del nemico vale solo nei confronti di un nemico personale, ma se si tratta anche di un nemico dell’Eterno è permesso gioire. La sua fonte è nel passo talmudico seguente: “Si insegna: Haman era stato barbiere per ventidue anni. Dopo che ebbe tagliato i capelli a Mordekhay rivestirono quest’ultimo del suo abito (regale). Haman gli disse: ‘Sali e cavalca’. Mordekhay gli rispose: ‘Non riesco, perché le mie forze si sono indebolite a causa dei giorni di digiuno’. Allora Haman si piegò e Mordekhay salì su di lui. E quando salì su di lui gli tirò un calcio. Haman gli domandò: ‘Ma non è scritto per voi: “Non gioire quando il tuo nemico cade”?’ Mordekhay gli rispose: ‘questo vale per i nemici in genere. Ma per quanto riguarda voi è invece scritto: “E tu calpesterai le loro alture”’ (Devarim 33,29 – Meghillah 16a). Nel caso di ‘Amaleq dunque è diverso, perché c’è la Mitzwah di distruggerne il ricordo: “Distruggerai il ricordo di ‘Amaleq da sotto il cielo. Non dimenticarlo” (Devarim 25,19).
Di Haman Ester disse: ish tzar we-oyèv, “uomo avverso e nemico” (Ester 7,6) e il Midrash spiega la ripetizione: “avverso” in basso e “nemico” in Alto, cioè nei confronti della Divinità. E anche il Re Shelomoh quando scrisse i Mishlè fu attento e disse: “Non gioire quando il tuo nemico cade”, ma se è anche nemico del Santo Benedetto è lecito gioire, come nel caso di ‘Amaleq. Questo è certamente il senso piano, perché il versetto conclude dicendo: “affinché l’Eterno non se ne accorga, se ne dispiaccia e ritragga da lui la sua ira (per riversarla su di te)”. È evidente che queste parole non possono applicarsi al caso in cui è stato l’Eterno stesso a comandare la cancellazione del ricordo del nemico” (Comm. Benè Yehudah a Avot 4, 24). In sostanza Mordekhay si riferiva con il suo comportamento e con le sue parole al fatto che Haman discendeva da ‘Amaleq. ‘Amaleq è il “nemico” del Cielo per antonomasia in quanto personificazione del Male assoluto.
Chi è oggi ‘Amaleq? Possiamo identificarlo con certezza? R. Chayim da Brisk spiega che da quando Sennacherib re di Assiria ha conquistato l’Oriente e ha confuso le popolazioni antiche, ‘Amaleq rivive in spiritu presso tutti quei popoli che cercano di distruggere Israel e la sua Torah. Ma al di là di ogni possibile retorica ed emozione siamo in grado di affermare senza ombra di dubbio che un nostro nemico, per quanto efferato e crudele, sia l’antico ‘Amaleq sotto il profilo halakhico? Dobbiamo concludere che la distinzione nei versetti fra oyev (“nemico” personale) e rashà’ (“malvagio” contro D.) ci aiuta poco a risolvere il nostro dilemma.
Ma ammettiamo pure (senza concedere!) di aver a che fare con nemici di D. della peggiore specie. Ciò basta ad autorizzarci a gioire dinanzi alle loro sconfitte? C’è un altro tipo di distinzione che propongo, a nome di un grande commentatore italiano. R. Binyamin ha-Kohen Vitale (Rabakh) fu Rabbino Capo di Reggio Emilia nei primi decenni del Settecento. Cabalista e halakhista di vaglia, fra i suoi numerosi scritti ci ha lasciato un importante commento ai Pirqè Avot dal titolo Avot ‘Olam. Soffermandosi sulla nostra massima in 4, 24 egli si pone il nostro stesso problema, ma adotta un criterio differente. Rabakh cita lo Zohar (P. Noach, 61b), secondo il quale dipende se il nemico in causa ha ricevuto tutta quanta la sua punizione avendo colmato la sua misura (ishtelim chovayhu) oppure no: solo nel primo caso possiamo permetterci di gioire.
Stando a questa analisi le parole da confrontare nei due versetti sono bi-nfol (“quando cade”) nel primo rispetto a ba-avod (“quando vengono distrutti”) dell’altro. Saremmo a questo punto tentati di interpretare in modo sciovinistico che la gioia è godimento sadico di fronte alla fine completa del nemico e invece l’accento è a ben vedere un altro. È inopportuno gioire della sua semplice caduta per il fatto che potrebbe ancora rialzarsi e nuocere. Solo allorché siamo certi che egli soccombe in modo definitivo, che la sua malvagità ha trovato tutta intera la retribuzione che merita senza rischio di ripercussioni solo allora, archiviando definitivamente il caso, possiamo manifestare la nostra soddisfazione: non per la sofferenza del malvagio, ma per il trionfo del Bene. Ciò non deve naturalmente farci deflettere neppure per un istante dal nostro proposito di operare costantemente affinché il Bene prevalga. Ma domandiamoci se i tempi sono maturi prima di cantare vittoria!
Rav Alberto Somekh