LA CRITICA – Davide Assael: Hamas, gli antisemiti in cravatta, le responsabilità di Bibi

La minaccia del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di portare il premier israeliano Benjamin Netanyahu di fronte alla Corte penale internazionale svela gli interessi assai particolari dietro l’utilizzo del diritto internazionale, spesso assunto acriticamente come una giustizia divina calata dall’alto.
Erdogan, il massacratore di curdi, l’uomo che più di ogni altro ha loro negato un territorio. Erdogan, che ha dato il via libera ad una vera e propria pulizia etnica in Nagorno-Karabakh, dove l’esodo forzato di decine di migliaia di armeni lì stanziati da secoli è passato sostanzialmente sotto silenzio. Per loro, rimasti privi del protettore russo, nessun corteo, nessuna tendopoli, nessuna solidarietà. Forse, per parafrasare il poeta palestinese Mahmood Darwish, hanno la disgrazia di non essere in guerra con lo Stato ebraico. Erdogan, l’uomo delle purghe in stile staliniano, con i presunti autori del fallito colpo di Stato del 2016 esibiti in mutande, ammanettati, con i volti tumefatti in spregio alla benché minima idea di diritto. Erdogan, che ha distrutto lo Stato kemalista, con l’eredità di laicità che si portava dietro. Erdogan, colui che ha transitato il proprio Paese verso un’autarchia in stile satrapia orientale, con parenti ed amici ben distribuiti nei posti di comando. Erdogan, il doppiogiochista che gioca su più tavoli contemporaneamente. Erdogan, l’islamista con una visione della società pre-moderna, patriarcale, omofoba. Erdogan, quando si dice basta la parola.

Il campo di battaglia internazionale
Contraddizioni ben visibili fra tutti gli Stati che si sono uniti al Sudafrica nella denuncia ad Israele. Un folto gruppo che ha assunto come fari nella loro lotta contro l’occidente, anche giustificata per quanto subito nei secoli di atroce colonialismo per la verità mai definitivamente concluso, Iran, Russia e Cina, non certo i migliori partner quando si rivendica il mancato rispetto del diritto umanitario. È chiaro, dunque, come ben mostra l’ex ufficiale delle Idf e ora riconosciuto analista dell’Inss per questioni di sicurezza Meir Erlan in un recente articolo per Limes, che il diritto internazionale si profila sempre più come un campo di battaglia in cui ognuno persegue i propri interessi. Da un lato la rete racchiusa nell’assai generica terminologia di “sud globale” con l’esplicita intenzione di usare il campo del diritto umanitario, talmente ampio da offrire il fianco alle strategie di tutte le parti, per spostare gli equilibri negli organismi sovranazionali. Dall’altro i Paesi occidentali che lo utilizzano per fare pressione su Israele affinché assecondi gli sforzi di trattativa, come sottolineato dai primi ministri dei Paesi coinvolti nel recente riconoscimento della Palestina.

Le responsabilità israeliane
Sia ben chiaro che queste strategie, del resto parte di qualunque azione politica che non sia idealizzata come fosse espressione degli angeli, non diminuiscono di una virgola la responsabilità del governo israeliano. Anzi, se possibile l’accentuano pure. Sono il diretto risultato della scellerata condotta di Netanyahu, ancora convinto, come da sua storia, di poter gestire tutte le contraddizioni: mantenere i legami con alleati vecchi (Usa, Egitto) e nuovi (Arabia Saudita, Paesi del Golfo, Marocco) restando al governo con quel manipolo di razzisti, suprematisti e fondamentalisti appartenenti alla galassia del sionismo religioso. Una responsabilità, a dire il vero, che si estende oltre il recinto governativo, da non assumere sempre come capro espiatorio di un processo pluriennale in cui il Paese tutto si è adagiato su uno status quo, illudendosi di poter rimuovere la causa palestinese. Ancor meno diminuisce la responsabilità sulla crisi umanitaria che stanno vivendo i palestinesi di Gaza e le violenze subite da quelli in Cisgiordania. Questo, però, non dovrebbe portare l’intellettualità occidentale ad accogliere solo la prospettiva di una parte.

Propaganda umanitaria
Naturalmente, si potrebbe narrare il conflitto dando la responsabilità della sua continuazione alla decisione di non liberare gli ostaggi, cosa che toglierebbe ogni alibi a Netanyahu e che sarebbe, tra l’altro, coerente con la richiesta del procuratore Khan, di cui si ricorda solo la parte riferita ad Israele. Ma appare del tutto inutile far riflettere sul confine fra legittima e doverosa critica allo Stato ebraico e il riaffacciarsi del più orrendo antisemitismo. Semplicemente, all’Europa e all’occidente degli ebrei non frega nulla. Hamas ben lo sa e, una volta lasciata sola dal mondo arabo, ci ha messo un attimo a virare dalla propaganda panislamista dei primi giorni a quella umanitaria tanto cara al mondo occidentale. Proprio loro, al cui confronto Erdogan è un illuminista.

Davide Assael