SHAVOUT – Rav Roberto Della Rocca: Un popolo, un cuore, un destino

Proprio in queste ore in cui ci prepariamo alla festa di Shavuòt e riviviamo con trepidazione l’arrivo dei nostri antenati ai piedi del monte Sinai per ricevere la Torà, scopo ultimo dell’uscita dall’Egitto e della liberazione, proviamo un turbinio di emozioni per la miracolosa liberazione degli ostaggi dalle mani degli aguzzini, mista all’angoscia per il destino dei restanti prigionieri. È noto il famoso commento di Rashì a questo passaggio della Torà: «Israele si accampò là come fosse un solo uomo e un solo cuore, mentre tutte le altre volte che si accampò lo fece con spirito di contestazione e di dissenso». Ci troviamo di fronte a una delle più belle e famose interpretazioni di Rashì. In questo versetto biblico «partirono» è plurale come anche «giunsero», «si accampò», viceversa, è singolare. Ne deduciamo che solo di fronte alla Torà il popolo ebraico trova la sua unità e il suo denominatore comune. In verità, anche nel commentare un altro passo del libro di Esodo (Es 14,10), in cui si racconta degli egiziani che inseguono il popolo ebraico con obiettivi persecutori, Rashì ci dice: «Come fossero un solo cuore, un solo uomo». Come è possibile? Dove finisce allora il mito della peculiare unità e solidarietà del popolo ebraico? Se lo vogliono, anche i nostri nemici antisemiti possono avere la stessa unità di intenti come gli ebrei di fronte alla Torà? Al di là dell’apparente tautologia, e osservando invece con attenzione, Rashì sta dicendo due cose diversissime tra loro: per gli ebrei l’ordine è «uomo-cuore», per i persecutori egiziani è viceversa «cuore-uomo». L’ultima parola è quella che conta; i nostri nemici hanno solo lo scopo di accanirsi contro gli ebrei. Al di là di questa complicità distruttiva gli antisemiti non hanno null’altro in comune. La nostra unità si basa invece su un altro movimento, che è quello «uomo-cuore». Le emozioni non possono mai costituire il punto di partenza ma si presentano piuttosto come conseguenza di un vissuto intorno a un progetto comune che, ancora una volta, consiste nel riconoscersi come un solo popolo con un unico passato e un unico destino. Un popolo resiliente, che come in queste ore, dimostra di saper cercare la luce nel buio e tentare di conservare la luce di un giorno per sempre. Il miracolo sta nel capire che l’unica vittoria valida è vivere e scommettere sulla vita, perché rimanere in vita è di per sé un miracolo. È con questi sentimenti che martedì sera, nel Kiddùsh della prima sera di Shavuòt, reciteremo la benedizione di Sheecheianu (la benedizione per le cose nuove), ringraziando l’Eterno di averci mantenuto in vita e averci fatto giungere a questo momento.
Moadìm Le Simchà!


Rav Roberto Della Rocca