L’OPINIONE – Rav Michael Ascoli: Arruolare i charedìm

Se vi è capitato di fare una visita guidata alla città vecchia a Gerusalemme, è assai probabile che vi abbiano parlato di “mantenimento dello status quo”, un concetto che assume dimensioni quasi sacre e che rende conto di un equilibrio difficilissimo e precario. Ma nello stato di Israele lo status quo si applica anche ad altri campi. È così ormai da 76 anni per l’assenza “provvisoria” della costituzione, ed è così anche per il servizio militare dei charedìm. La sentenza della Corte Suprema per la quale non esiste “alcun quadro giuridico che consenta al governo di concedere esenzioni totali dal servizio militare agli studenti ortodossi delle scuole religiose” non arriva certo all’improvviso. Si è sempre preferito rimandare la soluzione del problema, per calcolo politico a breve termine, e si è preferito andare avanti con accordi temporanei. Nella lunga storia di questi accordi occorre tener presente che l’esenzione inizialmente pattuita da Ben Gurion riguardava coloro che effettivamente studiavano nelle yeshivòt. Gradualmente si è invece arrivati a un’esenzione che di fatto riguarda un’intera fetta della popolazione, senza più limitazione nel numero, basata sull’appartenenza settoriale e non sull’effettivo studio. L’iniziale riferimento a “colui che fa dello studio della Torà la propria professione”, riferimento che ha solide basi nelle fonti, è venuto meno ed è stato gradualmente sostituito da una sorta di appartenenza di casta, tristemente accompagnata da un diffuso senso di superiorità. Basti guardare alle recenti reazioni dei leader charedìm (e del rabbino capo sefardita). Come si è arrivati dai 400 studiosi esentati da Ben Gurion alle moltitudini dei nostri giorni? La demografia ha fatto la sua parte, certamente. Ma una svolta fondamentale si è avuta prima con gli accordi di coalizione per la formazione del governo nel 1977 (l’anno in cui la destra vinse le elezioni per la prima volta), e nel 1981 poi: l’esenzione dal militare è stata estesa praticamente ad ogni giovane charedì. La vastità dell’esenzione e le sue conseguenze sono divenute subito chiare, e così dagli anni ’80 in poi si sono succedute varie commissioni parlamentari, proponendo soluzioni che però nessun governo ha mai voluto ratificare. E ora, a fronte della quantità enorme di soldati caduti nella guerra ancora in corso, la popolazione israeliana pretende il coinvolgimento dei charedìm nello sforzo bellico senza ulteriori tentennamenti. Come spesso avviene in Israele, ciò che i politici non hanno interesse a risolvere viene delegato alla Corte Suprema la quale, con la sua recente sentenza, ha di fatto rimandato al governo il compito di legiferare al riguardo, togliendogli però l’appiglio per continuare a rimandare.
Servirebbe, come sempre, buona volontà: l’insegnamento talmudico per il quale “gli studiosi di Torà non necessitano protezione” non va azzerato. La nostra tradizione sancisce infatti la possibilità di godere di alcuni diritti ed esenzioni, e di fatto anche i “sionisti religiosi”, che del servizio militare fanno spesso vanto esagerato e infondato, godono di una riduzione della durata del loro servizio a favore dell’impegno negli studi in yeshivà. Ma non certo di un’esenzione totale! Non occorre rinnegare la centralità della Torà, serve piuttosto voler combinare la dedizione alla Torà con un contributo tangibile alla società. Ed occorre anche evitare che l’arruolamento dei charedìm diventi ora l’argomento per eccellenza, mettendo in secondo piano altre misure urgenti da prendere per il bene della società israeliana e per un paese, appunto, in guerra.

Rav Michael Ascoli