SCUOLA – Una via per Aurelia Josz, pioniera dell’educazione femminile
L’8 dicembre 1902 Aurelia Josz fondò nel milanese la prima Scuola pratica agricola femminile presso la Cascina Frutteto, all’interno del parco di Monza. L’idea era di formare una generazione di giovani donne, soprattutto orfane, a una professione. Emanciparle, garantendo loro un’educazione di qualità in un ambito in cui la richiesta di manodopera non mancava. «Perché alla terra non manchino le intelligenti e appassionate cure di donne opportunamente preparate», scrisse Josz in un volume di pedagogia. Dopo aver viaggiato in Europa per conoscere cosa e come si insegnasse negli altri istituti d’agraria, lavorò alla sua scuola. Qui, con l’aiuto dei movimenti femministi e di una borghesia illuminata, portò a insegnare i più importanti agronomi italiani. A fermarla furono le persecuzioni antisemite del regime fascista e poi la Shoah.
Ma il suo progetto, tanto pionieristico e innovativo, ha superato la prova del tempo. Oggi l’istituto è ancora lì. E d’ora in avanti per arrivarci i suoi studenti percorreranno “Via Aurelia Josz”. Il Comune di Monza ha dedicato di recente alla pedagogista, nata a Firenze in una famiglia ebraica triestina, la via che conduce alla scuola di agraria. Una targa, spiegano oggi dall’istituto, che «rappresenta un luogo della memoria, in onore di una donna dalla forte personalità, di origine ebraica, tra le prime educatrici a promuovere l’apprendimento per le donne in agricoltura».
Quando fondò la scuola Josz aveva 33 anni. Si era trasferita da una decina d’anni a Milano dove, dopo la laurea in lettere, insegnava storia e geografia. Qui, racconta la Fondazione intesa San Paolo in un progetto sugli ebrei italiani e la persecuzione, «ideò nuove metodologie didattiche per catturare l’attenzione delle allieve». Ad esempio costruì con le sue studentesse un piccolo museo della geografia.
Descritta dall’amica Alice Hallgarten Franchet, filantropa e pedagogista americana, come «piccola, magra e pallida, vestita molto semplicemente», Josz divenne per molte giovani un modello. “Il mio dovere io lo compivo intero. Fu tutta la mia vita. Fu la mia gioia d’educare, di giovare agli altri», scrisse la giovane donna. Il suo istituto fu prima benvisto dal fascismo, poi il suo ruolo, in quanto ebrea, divenne scomodo. Fino a costringerla ad allontanarsi dalla sua creatura perché lei si rifiuta di giurare fedeltà al regime. Nel 1931 l’istituto chiude. Nel 1933 riapre senza di lei. Josz si rifugia nella scrittura e si occupa del fratello malato Italo, pittore futurista caduto in disgrazia con le leggi razziali del 1938. Nel 1942, quanto il fratello morì, Josz raggiunse la sorella Valeria ad Alassio. Mentre la guerra infuriava, trovò rifugio in un monastero. Un nascondiglio che non le permise di sfuggire alla persecuzione. Forse per una soffiata, il 15 aprile 1944 fu arrestata perché ebrea e deportata a fine giugno ad Auschwitz dove fu subito assassinata.