ISRAELE – Ancora missili ma si guarda al dopo-Hamas

A nord e al sud d’Israele sono tornati a suonare gli allarmi antimissile. Nel kibbutz Kabri, nella Galilea occidentale, un drone di Hezbollah è esploso ferendo gravemente una persona. Nel sud Hamas ha sparato da Rafah, uno dei luoghi al centro delle operazioni di Tsahal, sette razzi contro Israele. Sono stati tutti intercettati e la postazione di lancio è stata distrutta, ha reso noto l’esercito.
In questo quadro di guerra – il 279esimo giorno –, qualche spiraglio per una tregua arriva dai negoziati indiretti tra Gerusalemme e Hamas. Le parti hanno trovato un’intesa su un punto centrale del piano in tre fasi per il cessate il fuoco: il controllo di Gaza. Secondo l’analista del Washington Post David Ignatius, nella seconda fase la gestione della sicurezza sarà affidata a una nuova forza palestinese, sostenuta da alcuni paesi arabi moderati, composta da 2500 uomini legati all’Anp e verificati da Israele. Sarebbe un cambiamento radicale per l’enclave, in mano a Hamas dal colpo di stato del 2007. L’intesa su questo punto, avverte Ignatius, è un passo avanti, ma ci sono ancora molti ostacoli per arrivare alla tregua in cambio del rilascio degli ostaggi.
Una soluzione apertamente auspicata dal capo delle forze armate israeliane Herzi Halevi. Un accordo per riportare a casa i rapiti, ha affermato, «incarna i valori fondamentali di una società che dà valore alla vita». Intervenendo a una cerimonia presso l’accademia militare di Gerusalemme, Halevi si è soffermato sulla complessità del conflitto a Gaza. «È una guerra diversa dalle altre, contro un’idea estremista e distruttiva, che ha origine in Iran e nelle sue ambizioni di cancellare Israele, con i suoi alleati che si estendono intorno a noi». Per sconfiggere gruppi terroristici «che santificano la morte e si nascondono tra la popolazione» servono operazioni «prolungate, che devono essere gestite con determinazione, pazienza e una visione globale delle risorse militari e civili» in campo. Secondo Halevi sarà possibile sconfiggere «l’ideologia di Hamas smantellando i suoi meccanismi militari e governativi. La vittoria sarà ottenuta attraverso partenariati regionali e globali a lungo termine, con chi capisce che l’Iran» è una minaccia per tutti.
In questo futuro, in particolare a Gaza, Israele vorrebbe vedere ridotta, se non smantellata la presenza dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i palestinesi. Il primo ministro Benjamin Netanyahu lo ha auspicato a più riprese, in particolare dopo aver denunciato come diversi dipendenti dell’agenzia siano affiliati a organizzazioni terroristiche. Dall’Unrwa sono arrivate smentite, ma negli scorsi giorni il ministero degli Esteri israeliano ha inviato al capo dell’agenzia, Philippe Lazzarini, una documentazione con i nomi di 108 persone legate a Hamas e Jihad islamica. «Israele si aspetta da voi e dalla vostra organizzazione di porre immediatamente fine all’impiego di qualsiasi membro di Hamas o Jihad islamica, compresi gli individui specifici che appaiono nella lista allegata», si legge nella lettera diffusa in queste ore dai media israeliani.