DAFDAF ESTATE – Il pozzo di Miriam

Lo ricordiamo ancora una volta: nell’estate del 2011, la prima di DafDaf, il giornale ebraico dei bambini sperimentava contenuti adatti alle vacanze, sotto la nuova testata estiva, disegnata come quella “originale” da Paolo Bacilieri e colorata da Viola Sgarbi.

La scelta, tredici anni addietro, fu di dedicare tre numeri speciali alle prime tre lettere dell’alfabeto, che comparivano in copertina grazie all’arte di Luisa Valenti, che per tanti anni ha regalato le sue opere al giornale ebraico dei bambini.

In corrispondenza con la alef la redazione aveva iniziato ad approfittare della competenza e della generosità di Nedelia Tedeschi z.l., cui ancora adesso è dedicato ogni numero di DafDaf e Nedelia, che era stata l’anima e il cuore de Il giornale PER NOI, ci aveva suggerito di ripubblicare le storie di Giacoma Limentani, illustrate da Emanuele Luzzati.

Dopo L’ottimismo premiato e Di sabato non manca nulla, per il numero 12, a settembre, avevamo scelto Il pozzo di Miriam.

Buona lettura!

a.t.

Il pozzo di Miriam

Durante il soggiorno nel deserto i nostri padri soffrirono la sete, finché la profetessa Miriam non intercesse per loro presso l’Eterno. L’Eterno si commosse e le regalò una pietra, per forma e dimensioni uguale alla mola dl un mulino, ma con tredici fori: uno centrale più grande e altri dodici disposti tutto intorno.

Questa pietra, che venne chiamata il pozzo di Miriam, aveva proprietà ignote alle pietre comuni. Quando il popolo era in marcia, si spostava da sola rotolando al seguito dei Leviti che portavano il Tabernacolo e, quando si fermava, andava da sola a posarsi nel centro dell’accampamento. Qui si trasformava in una fonte d’acqua purissima: dal foro centrale scaturiva un alto zampillo riservato al Tabernacolo e al servizio divino, e, dagli altri dodici fori, dodici zampilli più piccoli, destinati ai fabbisogni delle singole tribù.

Ora avvenne che un giorno il popolo si fermò, ma il pozzo di Miriam rimase asciutto. In mezzo alla costernazione generale, soltanto Mosè si rallegrò e disse:

– Se il pozzo non dà acqua, vuoi dire che siamo giunti alla meta. Preparatevi a entrare nella Terra Promessa.

Ma il popolo, che pure si era sempre lamentato per la lunghezza e i disagi del viaggio, non ne volle sentir parlare. Come! Doveva entrare così alla cieca in un paese del quale non sapeva nulla?

– L’Eterno sa che è bello, – disse Mosè. – Dovete fidarvi dell’Eterno.

– Ci siamo già fidati del suo pozzo, ed eccoci senz’acqua, – rispose il popolo.

Allora Mosè decise. di mandare nella Terra Promessa degli esploratori, che partirono subito al comando di Calev. Scelsero una strada in salita e, cammina cammina, arrivarono a una splendida città cinta da altissime mura.

– Buon segno! Un popolo che si circonda di mura e bastioni non ha forza ne voglia di combattere!

Così disse Calev, e lo spettacolo che la città offrì di se stessa gli diede ragione. Le strade erano percorse da interminabili cortei funebri e i bellissimi palazzi risuonavano di pianti e lamenti.

– Ottimo segno. Questa gente ha bisogno di un popolo giovane e forte che l’aiuti a sollevarsi dai suoi mali. Ci accoglierà con gioia!

Così disse Calev, ma si accorse di aver parlato al vento. I suoi compagni erano fuggiti e dovette rincorrerli fuori dalle mura. Li trovò infine nascosti in una vigna:

– Hai visto? – gli dissero terrorizzati. – Non si sono accorti di noi. Scappiamo, presto, quella è una città di fantasmi!

Questa volta Calev si arrabbio:

– Avreste preferito che vedessero in noi dei nemici e ci uccidessero? Dovreste ringraziare l’Eterno, che ci ha resi invisibili ai loro occhi per darci il modo di osservare tutto con comodo- E guardatevi intorno invece di tremare! Non vedete come è fertile questa terra?

Così disse Calev, e con la spada tagliò un grappolo d’uva che, da solo, sarebbe bastato a sfamare un esercito. Un po’ sollevati, gli altri esploratori si avvicinarono e ammisero che sì, l’uva era bella. Tanto bella, che un uomo non ce la faceva a sollevare quell’unico grappolo. Bisognava trasportarlo almeno in due. Se lo misero sulle spalle e si stavano avviando per fare ritorno all’accampamento, quando da una roccia vicina si levò un suono simile a uno sbadiglio e la roccia si mosse.

Si drizzò a sedere: era un gigante.

Svegliatevi, fratelli, – disse, sapete che ho paura a star sveglio da solo.

– Anche noi abbiamo paura, e toccava a te montare la guardia per tener lontane le cavallette!

Altre due rocce si mossero e i tre giganti si alzarono in piedi. Barcollavano e dovevano sostenersi uno con l’altro. Appena ebbero fatto un passo, stramazzarono a terra e si riaddormentarono sfiniti. Cadendo, uno di essi sfiorò con la mano gli esploratori che si misero a correre all’impazzata, senza neanche alleggerirsi del grappolo per paura di perdere tempo. Così correndo arrivarono fino al campo, inseguiti da Calev che non riusciva a tener loro dietro per il gran ridere.

Quando li raggiunse in mezzo all’accampamento, Calev si accorse di essere l’unico a divertirsi:

– È un bel paese, ma divora i suoi abitanti, gli esploratori stavano dicendo al popolo, – ed è difeso da tre colossi spaventosi, che volevano schiacciarci come cavallette.

Invano Calev disse che l’Eterno li aveva condotti sulla soglia della Terra promessa proprio nel momento ideale per conquistarla senza colpo ferire. Invano tentò di spiegare che i tre giganti

erano all’estremo delle loro forze. La sua voce fu soffocata dai lamenti e dalle imprecazioni del popolo e poi dallo scroscio dell’acqua che aveva ripreso a zampillare dal pozzo di Miriam.

L’acqua disse a Mosè che la Terra Promessa era troppo bella per una massa di schiavi spaventati. Non la avrebbero conquistata, ma i loro figli, maturati in popolo alla dura scuola del deserto. La pietra si rimise a rotolare e la marcia ricominciò allontanando il popolo dalla sua meta.