MUSICA – Quella volta che i Gladiatori marciarono nel Lager 

Il 27 agosto 1933 a Börgermoor (sede di un Campo di concentramento e prigionia preventiva del Reich) l’attore e regista teatrale tedesco Wolfgang Langhoff, in risposta a un pestaggio perpetrato tempo prima dalle SS ai danni di alcuni deportati, allestì il mega-spettacolo Zirkus Konzentrazani, traducibile in Circo Concentrazionario ma altresì richiamo parodistico al Zirkus Sarrasani fondato a Dresda dal clown Hans Stosch detto Giovanni Sarrasani; il Zirkus era basato su intrattenimento, humour ed esibizioni circensi con tanto di ginnasti, clown, giocolieri, comici, parodie di balletto, lottatori e acrobati accompagnati da violino, mandolino, armonica a bocca, fisarmonica e un coro maschile che eseguì brani corali tra i quali Es steht ein Soldat am Wolgastrand e il Moorsoldatenlied
Al Zirkus assistettero 900 deportati, 60 SS e guardie con tanto di posto a sedere e biglietto d’ingresso; a SS e guardie evidentemente sfuggì l’intento provocatorio e dileggiante del Zirkus e, d’altro canto, uno dei repertori più gettonati e riutilizzati nei Lager era proprio quello circense. 
Presso il Moorlager II di Aschendorfermoor si sviluppò una discreta produzione corale maschile su rielaborazioni di canti e inni giovanili di origine scoutistica, con accompagnamento di ottoni o chitarra e fisarmonica, da citare tra i più suggestivi Den Spaten geschultert, Kamerad, du gehst (testo e musica di Hans Britten), Wann wir schreiten Seit’an Seit’ (testo di Hermann Claudius e musica di Michael Englert); ideologicamente agli antipodi, sul piano musicale fascismo e socialismo convivevano nei Campi di lavoro dello Emsland grazie a inni quali Wir sind Moorsoldaten (testo anonimo su melodia di un inno fascista) e l’inno del movimento operaio socialista Arbeiterbewegung al quale il prigioniero tedesco Heinz Hentschke aggiunse nel 1938 la strofa finale. 

Fergus Angkorn 
Anni fa a Brighton l’artista e prestigiatore britannico Fergus Angkorn, in gioventù prigioniero delle truppe giapponesi in Thailandia, mi raccontò che in prigionia le razioni di cibo erano insufficienti ad affrontare 18 ore di lavoro quotidiano; a causa della fame, Fergus e i suoi commilitoni arrivarono a mangiare cuccioli di cane, grossi ratti ma al calar della sera trovavano sempre il modo di fare arte. Finito il lavoro coatto, esaurito il quotidiano processo bestiale di costruzione della Death Railway Siam-Birmania, gli uomini rientravano in possesso delle proprie prerogative e, senza tradir fatica, si truccavano, imbracciavano la chitarra o il violino e facevano teatro o musica come se nulla fosse successo. 
Durante la costruzione del ponte sul fiume Kwai, i prigionieri non si risparmiavano dal prendere in giro sia se stessi – antidoto agli sforzi sovrumani cui erano sottoposti – che i giapponesi i quali, non conoscendo la lingua inglese, non davano peso a pesanti epiteti contenuti nei canti dei prigionieri britannici o australiani; si ascolti la versione del Campo di lavori forzati di Kanchanaburi della celebre Colonel Bogey March resa immortale dal film Il ponte sul fiume Kwai (David Lean, 1957). Prima di congedarmi, chiesi a Fergus uno dei suoi giochetti di prestigio e, come per magia, estrasse dal mio orecchio sinistro un ditale; ancora incredulo, raccolsi le mie cose e partii per Dover. 

La Marcia dei Gladiatori di Fučík 
Ad Auschwitz I Stammlager, all’entrata e uscita dei deportati assegnati agli Arbeiterkommando, l’orchestra del Campo eseguiva la Konzertmarsch Salve Imperator op.224 di Julius Wilhelm Ernst Fučík (foto), rinomato compositore asburgico e maestro di bande militari di Praga, Budapest e Theresienstadt; morto nel 1916, Julius Fučík non avrebbe mai immaginato che suo nipote scrittore e giornalista Julius Fučík (stesso nome e cognome) sarebbe stato giustiziato a Berlino l’8 settembre 1943 da quei nazionalsocialisti che pur adoravano la sua musica. 
Chi non conosce la Zirkusmarsch Einzug der Gladiatoren di Julius Fučík?  
Ancora oggi sorridiamo tutte le volte che la ascoltiamo come quando da piccoli un indimenticabile jingle introduceva in televisione le comiche di Ollio e Stanlio; la Marcia dei Gladiatori di Fučík è stata suonata a Theresienstadt, Auschwitz I, Sachsenhausen ed era più famosa della Radetzki-Marsch. Perché il Lager era anche questo: un insieme di eterogenee attitudini musicali, dai palati più esigenti a quelli più popolari e tutti compattati all’inverosimile in un mostruoso mondo alla rovescia. 
E in un mondo dove persino la B di ‘Arbeit macht frei’ del cancello d’ingresso era montata al rovescio (Auschwitz I), la più solenne marcia imperiale era destinata non al passo dei militari tedeschi ma a quello dei deportati; raramente questi ultimi cedevano al perverso gioco psicologico della musica cadenzata ma anzi cantavano e battevano la marcia come un inquadramento militare e, ancora una volta, a SS e guardie sfuggì l’intento provocatorio e dileggiante di tutto ciò. 
In fondo, c’è chi difende il reticolato di un Lager o una nazione o una civiltà e non è difficile immaginare a quale categoria siano appartenuti i deportati; Loro erano i veri soldati ai quali suonare Salve Imperator, gli autentici Gladiatori da accogliere al suono della celebre Marcia di Fučík. 
«Quello che facciamo in vita, riecheggia nell’eternità», dichiarò ai legionari il Gladiatore per eccellenza ossia Massimo Decimo Meridio (Russel Crowe) nel film di Ridley Scott; dal Zirkus Konzentrazani di Börgermoor alla Zirkusmarsch dei Gladiatori suonata nei Lager, l’universo concentrazionario costruì sapientemente il proprio circo, metafora della vita dove è il clown che regge il gioco, esalta l’attenzione del pubblico pagante e irride il vuoto cerebrale dell’idiota che fischia e sbraita invano. 
I Gladiatori sono ancora qui e marciano a ritmo lungo il perimetro del Zirkus del mondo odierno; ancora una volta, a qualcuno sfuggirà l’intento provocatorio e dileggiante di tutto ciò. 

Francesco Lotoro