SCAFFALE – Con Beniamino da Tudela, Avano fa risorgere il Meridione ebraico

Il libro di Gennaro Avano (antropologo e saggista, oltre che raffinato musicista e artista visivo) Una capanna nell’Italia greca. Riflessioni storico-antropologiche sul Meridione ebraico e tracce di ebraismo nella cultura meridionale (Guida Editori, Napoli) rappresenta un’investigazione di ampio raggio, condotta, sulla base della consultazione di un vasto bagaglio di documenti e di dottrina, con rigore scientifico e grande abilità narrativa, capace di coinvolgere il lettore con leggerezza in un percorso di conoscenza di notevole interesse e suggestione.

Nella penisola italica, com’è noto, la storia delle comunità ebraiche è stata unica dal momento che, nell’antichità, nel Medio Evo e nel Rinascimento era proprio nel Mezzogiorno che viveva la maggioranza degli ebrei della diaspora, alcuni dei quali (basti pensare alla zona flegrea) erano lì residenti da almeno due secoli prima dell’Era volgare. Ricordiamo quanto si ricava dal diario di viaggio di Beniamino da Tudela – ebreo spagnolo che, verso la metà del XII secolo, peregrinò per varie contrade del Mediterraneo e del Vicino Oriente, tra cui la nostra penisola –­, dal quale apprendiamo che furono censiti nella città di Napoli, forse nel 1166, numerosi israeliti (non si capisce bene se 500 individui o addirittura 500 famiglie), e ancora più a Salerno. In tutta la Campania, il pellegrino (considerato fonte alquanto seria e attendibile) avrebbe annotato la presenza di 1620 ebrei (o famiglie ebraiche), su un totale di 4832 complessivamente residenti in Italia, in grande maggioranza nelle regioni meridionali. L’esatto contrario, dunque, della situazione odierna, che vede (soprattutto a seguito del decreto di espulsione dal Vicereame di Napoli, del 1510) una ridottissima presenza ebraica a sud di Roma: delle 21 Comunità Ebraiche ufficialmente riconosciute in Italia, solo quella di Napoli (che conta poco più di un paio di centinaia di iscritti) rappresenta l’intera, vasta area del Mezzogiorno e delle isole, mentre le altre 20 (che comprendono il resto degli ebrei italiani, in tutto meno di 30.000) sono tutte da Roma in su.

La storia, con la sua violenza, ha quindi fortemente ridotto la componente ebraica umana nel Mezzogiorno d’Italia (anche se la voce ebraica continua, in queste terre, a farsi sentire ancora con grande risonanza e vivacità culturale, forte della sua densità di memoria e autorità morale), ma non ha potuto cancellare tutte le numerose tracce di una presenza che ha profondamente inciso sulla storia d’Italia, quantunque spesso ignorata (spesso volutamente) dalla storiografia ufficiale, che vuole l’ebraismo ‘inabissato’ con caduta del Secondo Tempio e poi misteriosamente ‘riaffiorato’ con la Shoah e la nascita dello Stato d’Israele.

Si tratta di tracce letterarie e monumentali che continuano, con ritmo crescente, a venire alla luce, in disparate località (quali Napoli, Ortigia, Bacoli, Trani e altre), ma anche, come scrive, nella sua prefazione al volume, Joshua Robbin Marks, in «alcune tradizioni culturali, talvolta anche solo familiari, dell’Italia meridionale e della Sicilia», dalle quali si possono ricavare i contorni di una sorta di “semitismo nascosto”.

Ricostruire una realtà antica attraverso persistenti tradizioni culturali, che ad essa paiono rinviare, com’è noto, è operazione ardua e complessa, perché non è facile capire quanto, di una determinata tradizione, sia effettivamente ‘antico’, a quando si possa fare risalire tale ‘antichità’, e quanto in essa si sia andato invece stratificando e sovrapponendo in epoche successive. Ed è proprio lo specifico, delicato compito dell’antropologo quello di cercare di distinguere tra le diverse faglie temporali accumulatesi in una data tradizione, e cercare di ricostruire, datare e contestualizzare i vari stadi di formazione della stessa. Avano si cimenta in questa ardua impresa, consapevole della difficoltà preliminare data da un sistematico, massiccio tentativo di rimozione di una testimonianza plurisecolare, che si sarebbe voluto cancellare, e che chiede invece di essere conosciuta.

«Assumiamo – scrive l’autore – la felice cognizione di una storia assai ricca, preservata e restituita con dovizia dalle comunità odierne a beneficio dei contemporanei. Tuttavia, analizzando il dettaglio della narrazione avvertiamo come essa sembri prendere consistenza e intensità in quella frazione temporale che definiamo ‘storia moderna’; la storia cioè che parte temporalmente dall’evento coloniale americano, che coincide con la costituzione di un regno unito di Spagna e che significa, per il semitismo, una nuova diaspora con l’alienazione dell’avito Sefarad».

«Relativamente alle stagioni più remote del semitismo occidentale, pertanto – aggiunge l’autore -, nonostante sussista una precipua memoria, esse restano di fatto avvolte in una narrazione aneddotica e per ‘piccole cause’». Da ciò deriva la deformazione di una «storiografia talvolta discrasica» che offre, della storia dell’ebraismo dell’Italia meridionale, una «rappresentazione marginale», laddove questa storia, invece, «ha avuto funzione tutt’altro che vaga nella storia del semitismo continentale… Una marginalità, dunque, non propriamente corretta proprio nel verso di una rappresentazione storica ancora più viva e ancora più strutturata».

In pagine di avvincente e godibile lettura – che offrono al lettore una molteplicità di dati poco conosciuti, interpretati con fine sensibilità storica e accostati tra loro in un suggestivo affresco multicolore – l’autore sottrae dalla ‘marginalità’ e dalla «narrazione aneddotica e per ‘piccole cause’” questa storia ‘rimossa’, che è invece parte integrante della storia d’Italia, e che deve riemergere, se il nostro Paese vuole avere una coscienza della propria identità un po’ meno superficiale».

Solo alcuni degli argomenti trattati, richiamati nei titoli dei paragrafi (quali il pitagorismo, l’ellenofonia ashkenazita, il semitismo calabro, il cinquantennio aragonese, la religiosità del Meridione nell’analisi di Elia Benamozegh, ecc.) possono dare il senso del largo respiro del lavoro dell’autore, che ha un valore non solo scientifico, ma anche di sollecitazione etica e spirituale. Tante comunità ebraiche forzatamente sradicate, conclude Avano, «sono carsicamente sopravvissute per ben cinque secoli. Assistiamo infatti al miracolo di un’identità riemergente che vuole forzatamente ristabilire un legame che, se non può essere formale, potrà esserlo senz’altro sul piano affettivo». E ciò permetterà «ai Marrani del sud Italia, separati con la violenza dal Popolo Ebraico, di ritrovare l’abbraccio affettivo con i fratelli d’Israele».

Scaffale è a cura di Francesco Lucrezi, docente di Diritti antichi all’Università di Salerno