DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 7 agosto 2024
Diplomazie al lavoro per frenare l’escalation in Medio Oriente e soprattutto possibili massicci attacchi di Hezbollah e Iran contro Israele. Il presidente Usa Joe Biden ha parlato con egiziani e qatarini, la premier Meloni con i giordani. Persino il presidente russo Vladimir Putin avrebbe, a modo suo, chiesto a Teheran moderazione, scrivono Repubblica e Corriere della Sera. «Il capo del Cremlino avrebbe consegnato un messaggio all’ayatollah Ali Khamenei: date una risposta moderata e non attaccate i civili».
L’Iran sta effettuando esercitazioni e spostando le proprie postazioni missilistiche. Il capo di Hezbollah intanto Hassan Nasrallah minaccia di colpire Haifa. E gli ospedali israeliani si preparano ad operare anche nel sottosuolo in caso di attacco, raccontano Repubblica e Giornale. Le strutture ospedaliere e altri luoghi strategici si sono attrezzati per resistere per giorni a possibili blackout. «Dobbiamo essere pronti ad accogliere un numero massiccio di feriti, che vanno curati e protetti anche sotto il tiro dei missili», spiega al Giornale Salman Zarka, direttore, druso, dello Ziv, il più importante centro medico del Nord. Impianti industriali e rete energetica, scrive il Corriere, sono tra gli obiettivi di Iran e Hezbollah.
A unire Iran, i gruppi terroristici che finanzia nel mondo, la Russia e in parte la Cina è un nemico comune, scrivono Corriere e Stampa: l’Occidente. Teheran l’ha definita la «santa alleanza». Per Federico Rampini (Corriere): «un insieme di forze unite dal fanatismo religioso, dall’odio per l’Occidente e le nostre libertà; determinate a fare anche stragi di civili (compresi i «loro» civili) pur di imporre un disegno messianico». Nel pezzo Rampini sostiene allo stesso tempo di «non illudersi che le eliminazioni clamorose di leader di Hezbollah e Hamas abbiano ristabilito una «deterrenza» che era crollata il 7 ottobre. E meglio ricordare una regola delle organizzazioni reticolari, come sono molte milizie jihadiste: “Tutti i leader sono dei numeri due”».
«L’ex prof di Storia che sa parlare dritto agli elettori del Midwest», titola il Corriere per raccontare chi è Tim Walz, governatore del Minnesota e ora candidato alla vicepresidenza Usa per i democratici. Sul 7 ottobre, il quotidiano ricorda l’ordine di Walz di calare a mezz’asta le bandiere in Minnesota in segno di lutto. Ha difeso gli studenti ebrei minacciati nei campus, ma allo stesso tempo «ha mostrato tolleranza nei confronti di chi vuole ridurre l’appoggio americano per la guerra contro Hamas a Gaza». Quando il 18% degli elettori del Minnesota, nelle primarie, ha votato «uncommitted» (per protesta contro Biden su Israele), Walz ha affermato: «Dobbiamo riportare all’ovile queste persone, ascoltarle, prenderle sul serio. Il loro messaggio è chiaro: dicono che la situazione è intollerabile e possiamo fare di più».
Hamas ha scelto il suo leader a Gaza, Yahya Sinwar, come capo politico del gruppo al posto di Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran. «Una nomina che è una dichiarazione di guerra permanente», scrive Repubblica. «Lui, proprio lui. Il palestinese più legato a Teheran. L’architetto del massacro del 7 Ottobre, che dieci mesi fa a Gaza ha ordinato alle Brigate al Qassam di esondare oltre il recinto per uccidere, abusare, distruggere, violentare, rapire». Questa nomina, spiega il Foglio, significa che: Sinwar è vivo e in grado di comunicare con la dirigenza all’estero di Hamas; il gruppo ha scelto la via della guerra a oltranza; Hamas si lega definitivamente all’Iran.
Per il Foglio «gli israeliani temono le divisioni interne più dell’Iran». Il riferimento, spiega il quotidiano, è al gruppo di giovani haredim che ieri «è andato ad assaltare la base militare di Tel Hashomer protestando contro la leva obbligatoria degli studenti ultraortodossi, finora esentati dal servizio militare che tutti gli israeliani devono fare. La distanza tra la comunità haredi e il resto del paese è la ferita di una società che non è più disposta a far pagare il tributo per la sicurezza soltanto a una parte della popolazione».
Lo slogan filopalestinese «dal fiume al mare», che evoca la sparizione di Israele, ha portato a una condanna a Berlino: il tribunale distrettuale di Tiergarten ha multato un 22enne che lo ha pronunciato durante una manifestazione l’11 ottobre 2023, pochi giorni dopo l’attacco di Hamas contro Israele. Lo slogan, secondo la corte, era un «incitamento» alla strage. «Il dubbio è che la sanzione giudiziaria conferisca un’aura di martirio, o addirittura un fascino maligno, a chi si chiama fuori dai valori democratici», scrive La Stampa. Il quotidiano scrive che anche il premier Netanyahu e il suo Likud, in un’accezione diversa, hanno usato la frase «dal Giordano al mare» per sancire che in quell’area «l’unica sovranità sarà quella israeliana».
Per Elena Ottolenghi «l’orgoglio di essere ebrei era ancora più forte per il fatto di essere perseguitati». Scomparsa di recente, il Corriere Torino ne ricorda la storia di scampata alla persecuzione e di testimone.