La Pankina di Scialom: pasta, pesce e solidarietà

L’esperienza, acquisita lavorando come mashgiach (l’addetto alla kasherut) in una serie di ristorante e servizi di catering a Roma, c’era già. Dieci anni fa Scialom Zarrugh ci ha aggiunto un corso alla Tadmor di Herzliya, storica scuola alberghiera d’Israele. «Poi sono entrato in stage con lo chef israeliano Meir Adoni e infine ho lavorato per un anno in cucina, in un altro ristorante». Queste le basi sulle quali Scialom ha aperto il proprio ristorante con due soci romani: Raffi Fattoum e lo chef Emanuele di Porto. Nel 2013 nasce Pankina, all’angolo fra Dizengoff e Gordon, proprio davanti alla discesa al mare. Perché avete scelto questo nome? «Stavamo pensando a qualcosa che ci rispecchiasse e ci è venuta in mente una panchina: un concetto semplice e un momento di relax in una Tel Aviv frenetica. Da noi ti fermi, ti rilassi, ti godi i tuoi piatti».
Pankina, ci spiega Scialom, è un ristorante italiano con tanti primi di pasta e pesce sul menu, «e poiché siamo un ristorate halavì cerchiamo a volte di riformulare ricette italiane che avrebbero la carne». Sono nate così la bolognese e la carbonara di Pankina, entrambe preparate con il tonno, oltre ad arancini, scagliozzi e supplì rigorosamente senza carne. Una sfida doppia perché, osserva ancora, «in una città laica come Tel Aviv esiste un certo scetticismo verso il cibo kasher». Ma le conferme non mancano. Proprio nei giorni dell’intervista il portale israeliano Mako ha pubblicato una lista dei cinquanta ristoranti kasher più buoni in Israele e Pankina è il terzo in assoluto. Situato nel cuore pulsante dello struscio cittadino, il ristorante fa parte integrante di Tel Aviv; e della città condivide gli aspetti lieti come quelli meno lieti. L’8 aprile del 2022 dei terroristi compiono un attacco su Dizengoff a 50 metri da Pankina. «La città brulicava di gente», racconta Scialom. «Abbiamo cercato di togliere più persone possibili dalla strada: i clienti seduti fuori ma anche tanti passanti. Lo spavento è stato grande e ci siamo stretti tutti all’interno del locale, nella cucina, sulle scale. Grazie al cielo è finito tutto bene». Un evento che ha regalato a Pankina un po’ di notorietà anche sulla stampa italiana. Quello dell’aprile di due anni fa è stato un incidente di breve durata.
A far reinterpretare a Scialom e al suo socio di oggi, Alberto Moscati, il ruolo di ristoratori è stato invece l’attacco del 7 ottobre. «Siamo rimasti sconvolti, non sapevamo come reagire. Tel Aviv, come il resto d’Israele, era deserta e per due giorni siamo rimasti a casa con pensieri pesanti sul cuore». Scialom racconta che tanti amici, conoscenti e collaboratori erano stati richiamati come riservisti, «ma io che non ho fatto la Tsavà (il servizio militare in Israele) non sapevo cosa fare per aiutare: poi ho parlato con dei ragazzi dell’associazione Naton Titen, che aiuta i bisognosi». I volontari erano impegnati ad acquistare generi alimentari per i militari «e io ho proposto di preparare dei pasti direttamente nel ristorante». L’idea ha funzionato e nel giro di poche ore il ristorante è diventato un ingranaggio della solidarietà nazionale. «Abbiamo preparato pasti sia per i soldati sia per le migliaia di sfollati: poterlo fare ci ha dato molta forza». Scialom parla di «una marea quotidiana di persone pronte a aiutare». Ogni mattina oltre 40 pensionati si presentavano per lavare e tagliare le verdure. Poi, racconta ancora Scialom, c’era chi impacchettava come chi si occupava di logistica: dalle richieste, ricevute anche alle due di notte dai soldati al sud, alla distribuzione, affidata a volontari che venivano con la loro auto per trasportare il cibo. «E lavorando insieme fino a tardi ci siamo dati coraggio, abbiamo sentito l’unità di Am Israel». Il volume dei pasti preparati parla da solo: «Fra gli 800 e 1000 al giorno per circa due mesi». Uno sforzo alimentato ora da Naton Titen, ora dalle grandi offerte di ebrei italiani e di altri paesi, «ora anche dal mercato di verdure e di challot che abbiamo allestito dentro al ristorante: chi passava non si limitava a comprare un prodotto ma lasciava qualcosa in più». E soldati e sfollati hanno potuto gustare migliaia di pasti di riso, pesce e verdure.
A Scialom chiedo perché ha cominciato con la cucina di latte. «Perché in Israele la cucina italiana è riconosciuta di più come halavì (di latte). Ma in un futuro non escludiamo di aprire anche un ristorante di carne (bassarì) per esprimere altre potenzialità del mangiare all’italiana».

dan.mos.