TISHA BE AV – Noemi Di Segni (Ucei): Restare uniti, la nostra forza
Nel calendario ebraico di questo anno siamo giunti al digiuno di Tisha Be Av. Ci siamo resi conto in questi lunghi e logoranti mesi che tutto quello che pensavamo di sapere è molto peggio, più complesso, più crudele, più distorto di quanto riuscivamo, già con fatica, a concettualizzare prima del 7 ottobre. Ed è proprio questa sensazione di minaccia esistenziale per lo Stato di Israele nel suo insieme e per le Comunità ebraiche in tutto il mondo per le conseguenze che drammaticamente impattano sulla realtà in cui viviamo, a imprimere il sentimento di gravità a questa vigilia di Tisha Be Av. Come se tutta la narrazione tramandata e che abbiamo sempre letto nel Libro di Eichà, si fosse materializzata dinanzi ai nostri occhi, ma invece di leggere assistiamo alla diretta. Ovviamente sconvolti perché la Storia non è solo storia, ma vendetta e odio millenario che si ripetono. L’assedio a Gerusalemme è l’assedio della minaccia iraniana ed è chiaro che la domanda soffocante è quella dell’epilogo ancora sconosciuto: ce la faremo? Da chi esattamente dipende? Noi cosa possiamo e dobbiamo fare? Non siamo meri spettatori di quanto avviene in Israele e contro Israele né credo ci riguardino solo le conseguenze – che ci raggiungono qui sull’onda mediatica – della minaccia alla sicurezza e della distorsione e dell’odio antisemita che si presta a nuove precisazioni (prima fra tutte che cosa è il sionismo e quanto la demonizzazione e nazificazione di Israele sia antisemitismo). A noi sembra insormontabile e tutto un incendio indomabile. Viviamo su due rette parallele: l’una riguarda le nostre vite quotidiane con le nostre minuscole ma faticose sfide, fatiche e gioie personali, familiari e quotidiane; l’altra riguarda il massacro del 7 ottobre, lo shock, il dolore, il ribaltamento di ogni verità e il negazionismo, la demenza che imperversa in ogni organismo internazionale. Ma queste due parallele si incontrano di tanto in tanto perché il mondo è piccolo e Israele è piccola e spesso i feriti, gli assassinati, gli ostaggi, gli sfollati, le donne stuprate sono nostri figli, sorelle, famigliari e amici. Ma soprattutto perché è un dovere morale anche istituzionale non rimanere indifferenti nonostante – o forse proprio perché – i dilemmi morali siano laceranti. Siamo ebrei e parte di comunità e istituzioni ebraiche, e questa guerra dipende anche da noi, dagli appelli che rivolgiamo alle persone che prendono decisioni cruciali nelle ore e nelle giornate che sembrano interminabili, di essere nazione, essere popolo compatto che si difende ma difende anche i valori ebraici, al supporto materiale e concreto che nel nostro piccolo riusciamo a donare per la speranza di vita che cerchiamo di convogliare.
Per noi il dovere della vita, salvare vite e ricordare al mondo che questo è quello che cerca di fare Israele è il monito. Alla cultura della morte e al progetto di sterminio rispondiamo con la vita. Ricordando a chi governa che i valori ebraici permeano lo Stato ebraico nel quale tutti possono ritrovarsi assieme a convivere; e devono concorrere allo sviluppo e alla sopravvivenza del Paese. Mentre la crudeltà e la voracità del nemico è per noi evidente e lottiamo anche per farne comprendere la follia alle folli che ingombrano piazze, università e assise parlamentari; mentre l’astuzia e la capacità di abusare dei nostri principi democratici per fare valere istanze che seminano violenza e odio le comprendiamo e ci sgoliamo per renderle chiare e ovvie a chi ripete slogan inattuabili, quel che Tisha Be Av – e quello di questo anno ancor più – ci invita a fare è porre l’attenzione verso il nostro interno. Capire che le divisioni e le lacerazioni interne diventano punti di breccia e di debolezza e su quello dobbiamo e possiamo porre l’attenzione e il nostro impegno. Non è facile prendere decisioni, e certamente non pensiamo di erigerci a esperti e sapienti: anzi riconosciamo il merito di chi si dedica a guidare in tempi così duri a salvare vite anime e spirito, a offrire sorrisi, a fornire sollievo e supporto in mille modi – ma essendo identificato il nemico esterno che assedia Israele e il popolo ebraico, per noi le decisioni sono quelle di piccoli momenti ed esternazioni: scegliere di rimanere uniti, vedere e volere il bene, desiderare la convivenza. La guerra e il male secolare riacceso non si spengono con un bottone e quel che si cerca ora non è l’illusione di pace benedetta dai leader internazionali, ma l’argine e la protezione di un’intera popolazione che vive in Israele, e per chi vive a Gaza, e forse anche in Libano, la liberazione dall’assedio dei gruppi terroristici che dura da oltre vent’anni.
Preghiamo e speriamo che l’assedio annunciato dall’Iran e dal Libano non trasformi Tisha Be Av nel Yom muad le-puraanut (giorno propizio di persecuzione e vendetta) né si avveri l’aggravio degli attacchi nei prossimi giorni. Preghiamo per i miracoli e ci prepariamo con il nostro sapere anche militare e con il nostro saper essere civiltà al meglio. Sarà una lunga notte di lamentazioni cui seguono preghiere e speranze, un lungo digiuno che riflette anche sofferenze odierne.
Per ripercorrere ancora una volta il percorso dal 7 ottobre verso la speranza di trovare forza e ispirazione, vorrei dedicare i versi scritti e composti dal poeta e cantautore Yaghel Harush sotto forma diKina (Lamentazione poetica). Dedicata, sulla ritmica delle Lamentazioni di Eicha, alla tragedia di Beeri e alla speranza del ritorno e della ricostruzione.
Per la traduzione che accompagna questa mia riflessione ringrazio la Prof. Luisa Basevi e il Rav Amedeo Spagnoletto per il prezioso e pronto supporto.
Noemi Di Segni
KINA di BEERI (Lamentazione di BEER)
Com’è che Beerì (=la mia sorgente) si e fatta tomba
E Il dì luminoso, è diventato la mia tenebra?
Distrutto ogni frutto
Il mio canto è un lutto
In una valle con l’animo infranto,
l’occhio mio stilla in un pianto
Com’è che Torà redatta e antica
Con tutta la sua magnificenza, non risultò amica?
Nel giorno in cui è celebrata
La mia luce è stata mutilata?
In una valle con l’animo infranto,
l’occhio mio stilla in un pianto.
Com’è che Israello nel giorno in cui invoca D-O
che chiama la vita,
invece riceve profonda ferita?
il vecchio e l’infante
rotolano nel sangue.
trasforma il malvagio
la festa in naufragio.
In una valle con l’animo infranto,
l’occhio mio stilla in un pianto.
Com’è che madri
Putte e fanciulle
A guisa di ere agitate e fasulle
Son tratte prigioniere in cattività come nei giorni di persecuzione e gravità
Son rotti i recinti del gregge perfetto,
troncate le danze, le arie e il falsetto
In una valle con l’animo infranto,
L’occhio mio stilla in un pianto.
Com’è che basito
Creatore del Cosmo,
vedo mia gente
vagare nel colmo?
il popolo fin quando
e’ gettato domando?
È ora che sorgi
Riaccendi e t’accorgi
Che l’amorevole Fonte
Alla piaga fa fronte
Al mio occhio si avveri
E nutra di nuova linfa Beeri