DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 26 agosto 2024

«Lampi di guerra», così i giornali in prima pagina descrivono lo scontro al nord tra Israele e Hezbollah. Cento caccia di Tsahal nella notte hanno compiuto «un attacco preventivo» sulle basi missilistiche di Hezbollah che stavano per bombardare in modo massiccio obiettivi israeliani, riportano Repubblica, Stampa e Giornale. Poco dopo i terroristi libanesi hanno sparato 320 missili sullo stato ebraico. «Entrambe le parti cantano vittoria. Pochi danni, tensione alta», sintetizza il Corriere della Sera. «Equilibrio di forza tra i nemici», scrive Repubblica.

Repubblica descrive il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah come un «equilibrista»: vendica il suo vice, ma cerca di evitare lo scontro totale. Il quotidiano analizza anche l’azione preventiva israeliana, definendola dottrina (Uzi) Rubin, padre dell’Iron Dome. Per Rubin Israele contro Hezbollah non può fare solo affidamento sul suo sistema di difesa antimissile visto la grandezza dell’arsenale nemico (almeno 150mila missili), finanziato dall’Iran. Ma deve colpire le basi di lancio come accaduto ieri. Il Corriere cita la strategia dell’attacco preventivo della guerra dei Sei giorni del 1967, in cui Israele sbaragliò le difese di Egitto, Siria e Giordania.

Nel rispondere a Hezbollah, gli Stati Uniti hanno dato pieno sostegno logistico a Israele, raccontano Giornale e Stampa. Washington inoltre ha spostato alcune navi nel Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo dell’Oman per proteggere Gerusalemme da un eventuale attacco iraniano, racconta il Giornale. Teheran nel mentre si tiene fuori dallo scontro diretto, sottolinea Repubblica. La Stampa riprende la richiesta al regime degli Ayatollah del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani: «Agisca per scongiurare l’escalation». Nelle stesse pagine, un reportage dalla Galilea racconta dei villaggi colpiti da Hezbollah quasi ogni giorno e dell’appello della popolazione civile di «annientare» i nemici libanesi. «Prima che ci invadano loro dobbiamo farlo noi», afferma una residente della zona.

Al Cairo vanno avanti i colloqui di pace, ma le parti restano distanti. «Non credo nella tregua con Hamas: Israele non accetterà di ritirarsi totalmente da Gaza e di rinunciare a presidiare la frontiera con l’Egitto. Per Gaza penso più a una situazione tipo West Bank: ritiro parziale con strike improvvisi quando viene individuata qualche minaccia», afferma al Corriere l’analista militare Usa Charles Kupchan, già consigliere della Casa Bianca. Secondo Kupchan è possibile che si concretizzi in parte lo scambio di prigionieri, ma poco altro.

«Siamo un paese prigioniero dell’emergenza», afferma lo scrittore israeliano Etgar Keret in un’intervista a Repubblica. Secondo Davide Assael (Domani) il protrarsi della guerra a Gaza rappresenta «un fallimento strategico di Israele» che «si palesa nel momento in cui l’Idf è costretto periodicamente a tornare a combattere a Khan Younis e nel nord della Striscia, dove nuovi battaglioni di Hamas risorgono dalle ceneri come la fenice. Del resto l’esperienza globale dopo l’11 settembre lo aveva chiaramente mostrato: il terrorismo non si combatte con una guerra convenzionale». Sul Foglio Giuliano Ferrara scrive invece del «problema tragico del terrorismo ebraico» auspicando un governo di larghe intese, per isolare chi delegittima e colpisce dall’interno le istituzioni del paese.

«L’attentato alla sinagoga scuote la Francia: Azioni contro gli ebrei quadruplicate», titola il Messaggero, raccontando dell’attentato compiuto sabato mattina a La Grande-Motte, a sud di Montpellier, contro una sinagoga. L’attentatore è un algerino di 33 anni con permesso di soggiorno, racconta il Corriere. Non è riuscito a far esplodere come pianificava quattro bombole di gas e si è così evitata una strage. La polizia indaga su eventuali complici. Intanto le comunità ebraiche, riporta sempre il Corriere, si mobilitano con diverse manifestazioni di piazza chiedendo azioni congiunte contro l’antisemitismo.

Sabato l’Isis ha rivendicato l’attacco compiuto venerdì sera a Solingen, nell’ovest della Germania, in cui un uomo siriano ha ucciso tre persone e ferito gravemente altre cinque con un coltello durante una festa cittadina, prima di fuggire. Il responsabile dell’attacco doveva essere espulso, spiega il Corriere. Il caso ha sollevato critiche contro il governo Scholz sulla gestione dell’immigrazione.

Giornale e Libero tornano sulla lista di proscrizione con indicati nomi del mondo ebraico italiano diffusa sul web dal «nuovo Partito comunista». La lista è stata condannata da tutte le forze politiche.

Sul Foglio Emanuele Calò e Daniela Santus auspicano «il modello tedesco di cittadinanza» per l’Italia. Ovvero un test simile a quello introdotto dal governo di Berlino in cui su 33 domande diverse vertono sulla lotta all’antisemitismo e la necessità di riconoscere e tutelare l’ebraismo e Israele.

Si intitola Why war? l’ultimo film del regista israeliano Amos Gitai e sarà presentato a fine mese alla Mostra del cinema di Venezia. La pellicola, racconta Gitai al Corriere, è incentrata su un ragionamento, realmente avvenuto, tra Einstein e Freud su cultura e pace.