DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 29 agosto 2024
L’operazione delle forze di sicurezza israeliane in corso in Cisgiordania potrebbe durare diversi giorni, sottolineano Corriere della Sera e Repubblica. L’obiettivo è smantellare le cellule terroristiche nell’area. «Pare che la presenza di queste ultime sia cresciuta negli ultimi tempi e che stessero pianificando attentati in tutta Israele, ricorrendo anche a militanti kamikaze», scrive il Corriere. Nell’operazione sono stati uccisi undici terroristi, ha reso noto Tsahal. Tra i bersagli, sottolinea il Giornale, depositi di armi inviate dall’Iran. L’Onu ha chiesto a Israele di rispettare il diritto internazionale, mentre «da Istanbul, Khaled Meshaal, ex leader di Hamas, ha ordinato il ritorno delle “operazioni martirio”, degli attentati suicidi contro i civili», riporta il Foglio.
Per l’analista americano Aaron David Miller, intervistato da La Stampa, l’operazione in Cisgiordania rappresenta «uno dei punti di svolta della nuova politica di sicurezza adottata dalle forze israeliane dal 7 ottobre 2023. Dall’attacco terroristico di Hamas c’è stata la necessità di attuare in maniera più aggressiva la leva della deterrenza anche in West Bank, di agire in anticipo rispetto a quelli che possono essere eventuali pericoli, aggressioni e attentati da parte delle formazioni palestinesi».
«Più sfiducia che mai tra Hamas e Netanyahu. Una virgola sbagliata e il negoziato rallenta», afferma al Corriere Majed Al-Ansari, portavoce del primo ministro del Qatar, impegnato nei negoziati indiretti tra Hamas e Israele. «Tra i canali da tenere aperti c’è quello iraniano. Li teniamo informati e li sollecitiamo a non allargare la guerra», sostiene Al-Ansari.
«Per riaprire la strada verso i due Stati dobbiamo passare da una separazione civile in cui il controllo della sicurezza sia in mano a Israele. Dare all’Anp la responsabilità sulla sicurezza troppo presto è ciò che ci ha portato al disastro». È la visione per arrivare alla soluzione dei due stati del leader della sinistra israeliana Yair Golan, a colloquio oggi con Repubblica. Nell’intervista Golan afferma «che l’annessione di fatto che sta avvenendo in Cisgiordania vada fermata subito. La comunità internazionale non capisce quello che Netanyahu e i suoi partner stanno facendo lì: questo è parte della perdita di credibilità di Israele».
Di Cisgiordania si occupa anche la Stampa, intervistando l’antropologo israeliano Idan Yaron, infiltratosi per anni tra «giovani delle colline». «Questi oltranzisti di destra religiosi vedono in tutti i palestinesi dei terroristi. Si definiscono razzisti. Il ministro Itamar Ben Gvir era uno di loro», afferma Yaron. Per lui questi gruppi rappresentano un grave pericolo per la stabilità della democrazia israeliana. Intanto gli Stati Uniti, segnala sempre la Stampa, «hanno congelato i conti e beni di cinque estremisti israeliani».
La Banca centrale israeliana ha lasciato il suo tasso di interesse di riferimento invariato a 4,5%, evidenziando i timori sulla «crescita dell’incertezza geopolitica e delle sue ramificazione economiche», segnala il Sole 24 Ore. L’istituto ha anche come il mercato del lavoro interno risenta della carenza di offerta a causa della guerra.
Per Davide Assael (Domani) finché in Israele «non comparirà un nuovo leader capace di affrontare il tema dei confini dello Stato si andrà avanti per violenze reciproche fino ad un conflitto più ampio, col rischio che la cosiddetta Terra santa si tramuti nei Balcani del 2000». Sul Fatto Quotidiano Gad Lerner traccia dei parallelismi tra i conflitti in Ucraina e a Gaza. In entrambi i casi i popoli che combattono «coabitano da secoli e continueranno a coabitare». Una «comunanza di destini» che, scrive Lerner, può «dare esiti di avvicinamento insperati».
Dopo il 7 ottobre, nonostante la guerra, sono aumentate le richieste per fare l’aliyah in Israele. Negli ultimi dieci mesi nel paese sono arrivati 29 mila nuovi immigrati, che «hanno beneficiato della legge che riconosce a qualsiasi ebreo il diritto legale all’immigrazione assistita», riporta il direttore del Foglio Claudio Cerasa. L’Occidente, aggiunge Cerasa, deve prendere «atto del fatto che l’intifada globale ha messo gli ebrei di mezzo mondo nella condizione di non sentirsi più liberi di professare la propria fede al punto di sentirsi più sicuri in un paese in guerra».