ALLE RADICI – Assael: aiutare l’Occidente a ricordarsi che è ebreo

Come sottolineato da molti in questi tragici mesi di conflitto a Gaza scatenato dal pogrom di Hamas del 7 ottobre, uno dei dati emersi è la frattura fra ebraismo e Occidente, dove si sono visti ricomparire in un battibaleno stereotipi secolari come gli ebrei vendicativi, chiusi in se stessi e insensibili alla sofferenza degli altri. La cosa stupisce ancor di più, considerato che l’ebraismo, con lo spirito di emancipazione che lo caratterizza fin dalla sua nascita e che attraversa tutta la sua formazione identitaria, dal Lech Lechà (“Lascia il tuo paese”) con cui prende avvio il viaggio abramitico fino alla yetziat Mitzraim (l’uscita dall’Egitto) che riviviamo ad ogni Pesach, è una delle fonti della tradizione occidentale.
In tal senso non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza del Concilio Vaticano Secondo, da cui, sulla scia degli studi pionieristici di Jules Isaac, si apre un filone critico capace di enfatizzare la continuità fra la predicazione di Gesù e il contesto ebraico di provenienza. Un’operazione che, a quanto pare, è rimasta chiusa negli ambienti teologici o confessionali, dove questi sono ormai dati acquisiti, ma che non è stata capace di «scendere a valle» e sedimentarsi in un immaginario popolare. Anzi, paiono rimaste impermeabili all’operazione anche le classi intellettuali laiche, ancora arroccate su un antisionismo che recepisce in pieno l’antigiudaismo pre-conciliare, dove si chiedeva agli ebrei di liberarsi dei propri elementi identitari. Con le buone o con le cattive.
Tara culturale ancor più grave, se si conta che, seppur l’espressione è da usare con cautela per più di una ragione, la modernità europea è, per molti versi, ebraica, tante sono le figure intellettuali ebraiche che hanno contribuito al suo sviluppo. Basti citare Freud e Einstein, proprio per rimanere a coloro che hanno forgiato l’immaginario contemporaneo. Ma che dire di Marx, nipote di due rabbini, dello Spinoza così amato proprio da Einstein, del salotto berlinese di Moses Mendelssohn, frequentato da molti giovani che sarebbero diventati allievi di Kant? Non a caso, la prima rivista della Haśkalà (l’Illuminismo ebraico) sarà edita a Könisberg. Persino i nazisti non poterono rimuovere Heinrich Heine, nato ebreo, dalla storia tedesca. Purtroppo, piuttosto che riconoscere il contributo ebraico, si trasformano queste figure in “ebrei buoni”, cioè, per dirla in breve, che hanno in sé il germe cristiano dell’amore e dell’apertura all’altro (sic!!). Lo stesso Jacques Lacan, che pur qualcosa vide di tutto questo, operò una cristianizzazione della psicoanalisi, che ancora oggi si ritrova negli stimolanti studi del nostro lacaniano per eccellenza: il mio amico Massimo Recalcati, da anni impegnato in una lettura «biblica» della psicoanalisi. Forse, però, il contributo più evidente che l’ebraismo ha offerto all’universalismo occidentale sono i cosiddetti Dieci comandamenti, anche, qui, però letti rigorosamente decontestualizzandoli dalla Torah. A tal proposito, vista l’eccezionalità del relatore e la sua proverbiale ritrosia a parlare di questi temi ad un vasto pubblico, mi permetto di segnalare un seminario online in cinque incontri, fra il 29 settembre e l’11 dicembre, promosso dall’Associazione Lech Lechà che presiedo e dedicato proprio alle Asseret HaDibberot. Sarà tenuto dal Prof. Gavriel Levi, tra i massimi interpreti del Tanakh che abbiamo in Italia. La speranza è di far emergere il significato autentico di quella che lo stesso Levi definisce una cultura colonizzata, cioè quell’ebraismo verso cui oggi si ribella il pensiero post-coloniale. Di paradosso in paradosso. Mala tempora currunt (Per informazioni scrivere a info@lechlecha.me).

Davide Assael