DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 5 settembre 2024
Parziale apertura, da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, alla possibilità di un ritiro dell’esercito dal Corridoio Filadelfia. A patto però, la condizione espressa nel corso di una conferenza stampa, che per Hamas non sia possibile riarmarsi attraverso i suoi tunnel. «Le condizioni per il cessate il fuoco permanente devono includere questa garanzia», riferisce tra gli altri Repubblica nel dare conto dell’intervento del premier. L’idea, riporta La Stampa, «sarebbe di ritirarsi in una seconda fase della tregua, dopo che Hamas avrà rilasciato gli ostaggi». Il Foglio descrive comunque nel merito una crisi tra le istituzioni israeliane «ormai profonda», con militari e intelligence che «si muovono per altri canali».
Quando si parla del conflitto in Medio Oriente, la comunità internazionale «non dovrebbe mai scordare, neppure per un istante, chi è l’aggredito e chi è l’aggressore, ed è incredibile che ci sia qualcuno che consideri il terrorismo di Hamas come il simbolo di una resistenza legittima contro il presunto invasore», dichiara il ministro degli Esteri Antonio Tajani al Foglio. «Ma una volta stabilite le coordinate bisogna anche chiedersi che destino possa avere la campagna di Israele a Gaza. Lo dico da amico di Israele: ci sono troppi morti, ci sono troppi palestinesi uccisi, non si vedono un’uscita e una direzione possibili». L’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini esterna il suo pensiero alla Stampa: «Io credo che la Ue debba riconoscere lo stato palestinese e l’Italia dentro la Ue. Non è una soluzione al conflitto, ma dentro la prospettiva dei due popoli e due Stati è un passo essenziale».
Il Corriere pubblica un reportage dai Territori sul mondo «dei coloni ebrei in Cisgiordania», descritti come «mai così forti, tanto consapevoli del loro ruolo». Una convinzione che sarebbe diffusa, si legge, non solo tra gli «estremisti messianici, quelli che i capi dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno) definiscono ormai apertamente come “terroristi, pericolosi anche per l’esistenza dello Stato”».
«Le persone che si considerano filo-israeliane o filo-palestinesi sottovalutano qualcosa di essenziale», scrive da Israele il drammaturgo Roy Chen (La Stampa). «Qui non ci sono due nazioni, ce ne sono almeno quattro. Ebrei religiosi, musulmani religiosi, israeliani e palestinesi laici. E ci sono anche cristiani, baha’i, atei, drusi, agnostici e soprattutto ragazzi che vogliono vivere la loro propria semplice vita». Chen spiega di non «accettare mai visioni univoche» e consiglia: «Invece di cercare un popolo da odiare, trovate un popolo da amare e di cui avere compassione, anzi, trovatene due».
«Il conflitto è in corso su tre versanti: Gaza, il Libano e l’Iran. È una situazione anormale e non si può pensare di vivere perennemente in trincea», dice lo scrittore Eshkol Nevo al Messaggero. «Sicuramente dobbiamo avere in mente due tipi di soluzioni: una a breve termine e una a lungo termine».
«Questa guerra non si concluderà con una vittoria. Ci saranno solo perdenti», sostiene Ehud Yaari, giornalista israeliano esperto di mondo islamico e terrorismo, in una intervista con Libero. Per Yaari, che spiega di aver ricevuto tre mesi fa un messaggio di Yahya Sinwar in cui il leader di Hamas gli ha comunicato di aver «già perso tutto» e pertanto di non avere «più nulla da perdere», sarà «vittoria parziale» solo con il ritorno di ostaggi e sfollati
Libero si sofferma anche sull’iniziativa dell’associazione Giovani Palestinesi Italia, che ha annunciato un evento sotto lo slogan «Il 7 ottobre 2023 è la data di una rivoluzione». Nel fioccare delle dichiarazioni, accusa Libero, «si scorge un certo silenzio di Partito democratico e Movimento 5 Stelle».