FRANCIA – La versione di Mohamed Sifaoui, sotto scorta da 21 anni

Recentemente lanciato da Daniel Kakoun e Antoine Mercier, “Mosaïque” è un portale che per scelta dei due fondatori fa un passo indietro rispetto al flusso delle notizie quotidiane per rendere in tutta la sua complessità il periodo iniziato il 7 ottobre. L’intervista a Mohamed Sifaoui, saggista esperto di islamismo e autore di Hamas: Plongée au coeur du groupe terroriste (Hamas. Un tuffo nel cuore del gruppo terroristico), pubblicato dalle Editions du Rocher, è parte di questo progetto. Durante l’intervista, Sifaoui ragiona sull’ideologia e sul funzionamento dell’organizzazione islamista e avverte gli israeliani: mentre il paese è diviso tra una parte della popolazione che vuole un cessate il fuoco immediato per ottenere la liberazione degli ostaggi e allentare la tensione e l’altra che rifiuta di cedere alle richieste di Hamas in nome della futura sicurezza del Paese, qualsiasi concessione sarà per Hamas un’occasione per rialzarsi e continuare la sua lotta. Spiega poi che tutte le dichiarazioni dei dirigenti di Hamas – che ha seguito sui vari canali online – indicano un obiettivo comune: tornare alla situazione che precedeva il 7 ottobre e riprendere il controllo della Striscia di Gaza e dei gazawi, come se non ci fossero mai stati né un pogrom né la guerra. Un gruppo terrorista, riconosciuto come tale, spiega ancora Sifaoui, governa su 365 km quadrati di territorio grazie a finanziamenti e alleanze ben note. Bisogna impedire che questa situazione continui.

Il salto di qualità
«Non si tratta più solo di una “semplice organizzazione terroristica”, Hamas è un proxi del regime iraniano e integra pienamente la strategia dei mullah: circondare Israele. In questo momento il paese è minacciato a nord da Hezbollah, dalle milizie siriane e irachene, a sud c’è ovviamente Hamas e la pressione viene anche dagli Houti. Il tentativo di accerchiamento non è solo una minaccia immediata per Israele, è anche una strategia che mette pressione sull’Arabia Saudita. Lasciare che Hamas continui a controllare la striscia di Gaza non ha alcun senso. E questo è molto chiaro agli israeliani». Sollecitato dall’intervistatore continua: «Hamas può rinascere dalle sue ceneri, oggi è una struttura composta da una dozzina di milizie armate differenti, ha a disposizione fra i 70 e i 100 mila combattenti, i 700 km di tunnel sono una risorsa strategica fenomenale. E non va dimenticato che Hamas ha ancora un numero impressionante di missili: sono riusciti a lanciarne da Gaza, restano operativi. Lo scenario futuro è noto: ricostruzione o costruzione di nuovi tunnel, con l’Iran che continuerà a fornire armi e attrezzature; non mancheranno le nuove reclute, soprattutto tra i giovani. Nel giro di due o tre anni, come già in passato, saranno in grado di ripartire. Quello che trovo impressionante è l’evoluzione di Hamas, il livello di sofisticazione delle sue azioni: mitragliatori, attacchi suicidi, usavano le bombe, tutte azioni di una tossicità enorme ma che non riuscivano a essere una minaccia strategica vitale. Dal 2008/2009 la capacità operativa è aumentata: hanno armi estremamente sofisticate, missili capaci di colpire il nord di Israele, e sono in grado di superare le misure di sicurezza israeliane. Sono stati capaci di raccogliere le informazioni necessarie a montare un’operazione come quella del 7 ottobre. Hamas è diventato un proto-stato capace di avere qualcosa di assimilabile a un esercito, sono in grado di costruire razzi, e droni grazie a un ingegnere tunisino arrivato attraverso la Siria. Uno degli obiettivi principali di ogni israeliano deve essere smantellare militarmente e politicamente Hamas».

La strategia di Sinwar
Sifaoui continua analizzando la posizione e le scelte di Yahya Sinwar: «Non credo abbia alcuna possibilità di cavarsela, prima o poi lo prenderanno. Ma ha modificato in maniera definitiva e radicale la situazione: Hamas era un movimento terrorista con una specificità, agiva secondo modalità note. Il 7 ottobre sono stati superati tutti i limiti, e Sinwar sapeva che effetto avrebbero avuto le azioni compiute su Israele e sugli israeliani, sapeva come usare i video girati durante il massacro, i terroristi avevano istruzioni precise, un copione da seguire. Era consapevole delle divisioni esistenti nella società israeliana, aveva studiato la situazione a fondo e la strategia era definita, non c’è stata alcuna improvvisazione. Con la cattura di così tanti ostaggi puntava a svuotare le prigioni israeliane – lui stesso aveva beneficiato dello scambio fatto per liberare Gilad Shalit».

Occidente, arabi e musulmani
Uno dei problemi, aggiunge Sifaoui alla fine dell’intervista, è la grande asimmetria nella percezione dell’avversario, e la non comprensione delle logiche proprie dell’islamismo: «Gli israeliani ragionano come degli occidentali, in maniera troppo razionale, non arrivano a mettere in prospettiva un modo di ragionale orientale. C’è un lato folle, messianico, delirante che guida le azioni di coloro che compiono gli attentati, dei kamikaze. La sufficienza occidentale ancora oggi porta a capire poco del mondo musulmano, che viene percepito se fosse un blocco omogeneo e monolitico. Non c’è la capacità di fare distinzioni: “gli arabi”, “i musulmani”, sono espressioni che non vogliono dire assolutamente nulla, è una generalizzazione idiota. Esiste una ultra destra estrema e religiosa che ha scelto la via armata. È una componente della società, non la sua totalità. Ma va ricordato che ci va un po’ di follia anche per rischiare la propria vita sul fronte opposto: ci sono tante persone che lottano contro l’estremismo, interi movimenti che però non si vedono, non si espongono. Ma questo succede anche per una sorta di complicità dell’Occidente che decide a chi vuole dare visibilità e a chi vuole dare la parola. Siamo in tanti a opporci».